L’Iran è uno dei pochi paesi al mondo (sono esattamente 58, quasi tutti in Medio Oriente, Asia e Africa, ma anche negli States) in cui si eseguono ancora condanne a morte, in molti casi con eventi aperti al pubblico durante i quali i condannati vengono impiccati e lasciati per alcuni giorni appesi in piazza come monito per chi pensa di imitare le loro gesta. Nell’ultimo anno, però, secondo delle informazioni indipendenti raccolte dalla Ong Amnesty International con l’aiuto del Centro Abdorrahman Boroumand, sembra che l’Iran abbia visto un vero e proprio boom delle condanne a morte; con i colleghi della Ong Iran Human Rights che parlano di almeno 223 esecuzioni nei primi mesi del 2024.



Soffermandoci un attimo sui dati dell’ultimo anno – che come nel caso di quelli riferiti al 2023 non possono essere verificati dato che il governo degli ayatollah si rifiuta di rilasciare informazioni ufficiali sulle esecuzioni -, delle 223 condanne a morte inflitte in Iran almeno una 50ina si riferirebbero al solo mese di maggio, con 115 dalla fine del ramadan ad oggi. Non solo, perché in 6 casi sono state condannate e uccise, sempre con impiccagione pubblica, almeno 6 donne che – probabilmente – avevano preso parte alla ormai ampissima protesta ‘Donna Vita Libertà’ nata sulla sia della morte di Mahsa Amini.



Amnesty International: “853 condanne a morte in Iran nel 2023, il 56% per narcotraffico”

Tornando all’anno scorso, secondo i dati raccolti da Amnesty International l’Iran ha impartito almeno 853 condanne a morte, vicinissime al record storico registrato nel 2015 quando ve ne furono almeno 977: comunque, rispetto al 2022 (576 casi) l’aumento è stato del 48%. Dati – ammette la stessa Ong – che potrebbero essere ampiamente sottostimati dato che in molti casi vengono condannati prigionieri senza famiglia o che vengono dati per dispersi e mai ritrovati. La maggior parte (almeno 481, il 56% del totale) delle condanne a morte impartite in Iran riguardavano reati connessi alla droga, dovuti all’elezione di Ebrahim Raisi che ha inasprito la lotta al narcotraffico.



Non solo, perché il 29% delle esecuzioni sempre inerenti ai reati per droga ha colpito prigionieri della minoranza beluci, pari solamente al 5% della popolazione iraniana, con un chiaro segnale che le leggi contro gli stupefacenti – denuncia Amnesty International – hanno un “evidente impatto discriminatorio sulle comunità più marginalizzate e impoverite”.

Andando avanti nel lungo report della Ong salta all’occhio anche un altro dato interessante e che rende ancora più inumane le condanne a morte in un paese come l’Iran: delle 853 condanne almeno 5 hanno coinvolto minorenni o neo-maggiorenni che non avevano ancora 18 anni nel momento in cui hanno commesso il reato. Dati che sono decisamente sottostimati, perché come chiarisce la Ong in moltissimi casi “le autorità iraniane hanno dichiarato sui mezzi d’informazione del paese che [avevano] 18 anni per evitare l’accusa di aver violato il diritto internazionale“.