La morte del presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Ebrahim Raisi, non è avvenuta per un attentato, ma per un incidente. E in questo senso non si capisce perché i suoi lo considerino un martire. Più che un martire mi sembrerebbe essere uno che ha scelto un mezzo sbagliato, inadeguato, per andare a lavorare.
Alcune fonti ufficiali affermano che a causa dell’embargo praticato contro l’Iran non è stata possibile una normale manutenzione dell’elicottero. Ora, scusate la mia ignoranza: l’Iran non è quel Paese che vende nuova tecnologia militare alla Russia, e sta elaborando una delicata sperimentazione nel campo nucleare? Possibile che non potessero chiamare qualche tecnico, magari in nero, di Leonardo per dare una sistematina all’elicottero del presidente? Insomma, visto che anche Israele si è premurato di precisare che “noi non c’entriamo”, allora la colpa sembra proprio essere di quelli che oggi piangono il loro presidente, ma ieri, troppo preoccupati di elaborare nuove tecnologie militari, hanno trascurato i più elementari criteri di sicurezza della vita civile.
Ora, sarà pure un cattivo pensiero, ma viene da pensare che se per la sicurezza del presidente c’è stata così poca attenzione, siamo certi che per quella dei cittadini non ci sarà la stessa “disattenzione”? A che serve costruire armi sempre più letali se poi non ci si preoccupa a sufficienza dei pericoli che vengono da ciò che non si sa usare con sicurezza nella vita civile?
In questo senso in un Paese dove sembra che tutto avvenga per volere di Allah, sembra proprio che l’Onnipotente abbia voluto dare un segno, uno di quelli terribili di cui parla il Corano: ragazzi, forse prima di preparare la guerra sarebbe meglio dare un’occhiatina a ciò che ci permette di vivere in pace…
Alla morte di Raisi gli oppositori, almeno quelli fuggiti all’estero, hanno esultato pubblicamente, quasi che questo evento sia stata una loro vittoria. Certo non potevano dimenticare il ruolo del defunto presidente nella sanguinosa repressione del 1988. D’altra parte le grandi manifestazioni di cordoglio per Raisi organizzate dal regime, e ancor di più, direi, la solidarietà degli amici del governo attuale dell’Iran, non possono non far pensare che un eventuale cambiamento politico, per quanto radicale possa essere, non può fare i conti anche là con una società divisa. Una società divisa al suo interno, ma anche rispetto agli alleati. Lo so che qualcuno dirà che sono un po’ fissato, ma anche in questa situazione risulta evidente la necessità di pacificatori di cui purtroppo oggi non si vede l’ombra.
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