L’Iran è un Paese difficile da inquadrare, molte cose possono avere una duplice lettura. È sicuramente uno Stato con una politica estera aggressiva e spregiudicata. In questi giorni è al centro dell’attenzione mediatica per le elezioni, disertate dalle nuove generazioni e con il primo partito che è quello dell’astensione. In un Paese con un così capillare controllo di polizia, disertare le urne non è qualunquismo, ma una forma di militanza.



Noi europei ci occupiamo poco della pericolosità delle varie milizie sciite, Houti, Hezbollah o Hamas, o meglio, ce ne occupiamo solo nella misura in cui temiamo che magari possano coinvolgere qualche nostra nave, una petroliera, o dei turisti. Ma tanto sforzo militare genera una costante crisi economica interna.

Conosco le vicende iraniane dalla prospettiva dei diritti umani, prospettiva che è solo apparentemente limitata, perché poi si possono riuscire a comprendere molte altre cose. Leggo i dati e le notizie fornite dalle molte Ong di esuli iraniani, e a volte non condivido le loro analisi. Da un lato dicono che i mullah impiccano 900 persone l’anno per “spargere il terrore tra la popolazione”. Ma poi, rivendicando (giustamente) la loro capacità di procurarsi informazioni, sostengono che tre esecuzioni su quattro vengono effettuate in segreto, e non ne trapela notizia sui media governativi (in Iran esistono solo quelli). Ma se le esecuzioni sono segrete, allora non servono a terrorizzare la popolazione. Servono invece, credo io, a tentare di contrastare una crescente criminalità “dilettantesca”, di persone che compiono reati, spesso maldestri, perché sono povere, e perché certe zone del Paese, dove il potere delle tribù e delle etnie è più forte del potere centralizzato dei mullah, vengono volutamente tenute in povertà.



Le esecuzioni in Iran vengono effettuate per impiccagione “dolorosa”, ossia facendo cadere il condannato da un piccolo sgabello, così non gli si spezza l’osso del collo come quando si usa un patibolo con la botola messa in alto. Quando ancora il regime trovava utile effettuare le esecuzioni in pubblico, la scena era ancora più orribile: ai morituri veniva infilato il cappio, e poi una gru montata su un camion li sollevava gradatamente. Avrete letto nelle scorse settimane il riassunto del rapporto di Amnesty che mette l’Iran tra i primi cinque Paesi al mondo per numero di esecuzioni. Credo che il numero di cinque sia stato scelto per poter dire che il quinto Paese sono gli Stati Uniti.



Ma non c’è assolutamente paragone. L’Iran ha 90 milioni di abitanti e l’anno scorso ha impiccato almeno 882 persone. Gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti, e ne hanno uccise 24. Sì, è l’Iran il Paese che più di tutti al mondo elimina i propri cittadini. Perché come numeri assoluti l’Iran potrebbe essere ai livelli della Cina, che però ha 1,4 miliardi di abitanti, non 90 milioni. Abbiamo scritto “potrebbe” perché, come reazione alle polemiche occidentali, la Cina, che aveva una media di 2mila esecuzioni, da 15 anni non divulga più i suoi dati, e non esiste nessuna Ong di esuli cinesi che si occupi di diritti umani, anzi, non esiste nessuna Ong cinese che si occupi di niente, perché i cinesi stanno tutti ben attenti, in qualsiasi parte del mondo vivano, a non contrariare la madrepatria.

Invece, e su questo secondo me ci sarebbero diverse domande da fare, le Ong di esuli iraniani esistono. Periodicamente si hanno notizie di qualche servizio segreto occidentale che ha sventato un attentato contro un esule, attentati di solito subappaltati ad elementi di secondo piano della malavita. Ma sono tutti attentati sventati. I servizi segreti iraniani, quando operano all’estero, non hanno certo l’efficacia esiziale di quelli russi, o la pervasività confuciano-maoista di quelli cinesi.

Eppure, non si può fare a meno di notare il coraggio dei dissidenti iraniani. Sono ovunque, agiscono in ogni ambito. Quelli catturati in patria vengono accusati di “guerra contro dio” in quanto con le loro azioni danneggerebbero addirittura i piani di Allah per la nazione iraniana. È per questo che vengono condannati a morte anche per delle inezie.

Mariano Giustino, corrispondente dalla Turchia di Radio Radicale (ma anche per Il Foglio e Huffpost; per le sue analisi gli è appena stato conferito un prestigioso riconoscimento, “Il Premiolino”), ha intervistato una giovane donna che vive in Germania, Negin Niknaam. Qualche giorno fa Negin a Oslo ha ritirato il Premio Havel per i diritti umani per conto di Toomaj Salehi, un rapper che in quei giorni era in un braccio della morte iraniano. Con le sue interviste Mariano ci ha fatto conoscere altre donne, Fariba Karimi e Maryam Pezeshki, che come Negin parlano, si mostrano, chiedono attenzione per quello che accade nel loro Paese. La si pensi come si vuole sul governo iraniano, ma le donne di quel Paese, quelle che sono già riuscite a togliersi il velo, sono un dono di Dio. Scegliete voi quale Dio; secondo me tutti, compreso Allah.

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