Ora il grande rischio di un allargamento del conflitto e l’anticamera di una possibile escalation globale stanno prendendo sempre più corpo. Nella notte tra sabato e domenica è partita la “punizione” promessa dall’Iran nei confronti di Israele. È stata provocata un’autentica pioggia di droni con in più centinaia di missili a lunga gittata. Israele ha contenuto un attacco tragicamente spettacolare quasi senza danni con l’aiuto di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna.



Uno sbarramento che ha inevitabilmente confermato la forza difensiva israeliana, aiutata da tre grandi potenze militari. Tuttavia un simile ricompattamento di alleanze, che forse nessuno si aspettava più, in molti si chiedono se si ripeterà, date le preoccupazioni esistenti anche all’interno dei Paesi occidentali.



Con questo schieramento di difesa, secondo le cifre ufficiali, quelle che regolarmente nasconde la propaganda iraniana insieme ai suoi alleati, il 99 per cento dell’attacco militare contro Israele si è risolto praticamente nel nulla: due ragazzi feriti, alcune persone contuse, danni limitatissimi.

Secondo l’Iran invece, l’attacco promesso è stato mantenuto, quasi onorato, come risposta all’attacco degli israeliani fatto in Siria contro l’ambasciata iraniana di Damasco, dove è rimasto ucciso il vero “numero 2” del potere di Teheran, il generale Mohammad Reza Zahedi, l’uomo dei pasdaran, uno dei dirigenti degli ayatollah che ha assicurato costantemente il funzionamento dell’influenza di Teheran nel Medio Oriente.



Se gli iraniani festeggiano (per dovere) per le strade di Teheran la risposta militare, che non ha portato a nessun risultato, ora entra in gioco l’effetto politico complessivo. Che, in questo momento, gioca a favore della linea di Netanyahu, alla sua politica di “risposta aggressiva”, quella già generalmente condannata nell’operazione in corso ancora nella striscia di Gaza, dove per rispondere all’azione criminale di Hamas del 7 ottobre 2023 con un pogrom, il premier israeliano ha risposto con un massacro. Per ora, in questa nuova vicenda, la prima risposta di Netanyahu è stata perentoria e da brividi alla schiena: “Non staremo fermi a guardare”. E il ministro degli esteri israeliano Israel Katz, gli ha fatto eco dicendo: “L’Iran deve essere punito per l’azione fatta nella notte tra sabato e domenica”.

Dichiarazioni e azioni che in questo momento sembrano gli ingredienti di una macabra danza tra guerra e pace.

Intanto, il 14 aprile 2024 passerà alla storia non solo per la drammaticità della situazione, ma nello stesso tempo per le riunioni a livello mondiale che sono state messe in calendario per vedere come affrontare quello che tutti temono: l’aggravamento della situazione a livello globale dopo due anni di guerre e la crisi definitiva del vecchio ordine mondiale.

Mentre era in corso il gabinetto di guerra di Israele, si riuniva il G7 presieduto da Giorgia Meloni, dove si solidarizzava con Israele per l’aggressione subita, ma al tempo stesso si consigliava prudenza e sostanzialmente nessuna rappresaglia. In più si annunciava il Consiglio di sicurezza dell’ONU per la sera, con la presenza ( così si dice) sia di Israele che dell’Iran. Inoltre già si è pensato a una riunione generale dei ministri degli Esteri di più di un centinaio di Paesi.

Occorre sottolineare che, in questo frangente, tutti guardano soprattutto agli Stati Uniti e al loro presidente, Joe Biden, che ha subito sconsigliato Netanyahu di operare una nuova rappresaglia o a promuovere azioni di aggressione contro l’Iran. Questa sarebbe la premessa per scongiurare il peggio secondo gli analisti e gli osservatori.

Ma guardando solo ai “consigli” di Biden, si può comprendere come le realtà nazionali si intreccino con la situazione mondiale in modo complicato.

Ora, guardando in tutto il mondo si possono ascoltare consigli di prudenza e soprattutto un’attenzione particolare nel non allargare il conflitto. Ma se le guerre in corso, come in Ucraina e nel Medio Oriente, si incrociassero per una serie di interessi e di alleanze, tutto diventerebbe più complicato e alla fine il timore non di una guerra a pezzi, ma di una guerra mondiale diventerebbe una sorta di incubo che grava sul cielo del mondo intero.

Si dice che negli ultimi sondaggi Joe Biden abbia guadagnato terreno nei confronti di Donald Trump e difficilmente non ci sarà sul terreno dello scontro elettorale anche la gestione delle guerre. Ma sia Biden che Trump al momento sembrano orientati a una lunga tregua o comunque a un’inversione di rotta rispetto a un conflitto generale. Israele ne terrà conto?

Gli Stati Uniti potranno mai rovesciare la linea israeliana, che, da quando è riunito il gabinetto di guerra, insiste per una “risposta punitiva” contro l’Iran? Tutti predicano prudenza, ma il clima in Israele e l’azione anche della parte moderata del governo di Tel Aviv non è affatto rassicurante. Non è detto che Israele risponderà direttamente all’Iran sotto il profilo militare. Ufficialmente Israele cerca di creare una coalizione contro l’Iran; percorso molto difficile nell’inferno del Medio Oriente. Ma  potrebbe anche consumare la sua offensiva militare contro gli Hezbollah del Libano, amici degli iraniani, oppure riprendendo ancora più duramente la caccia ad Hamas.

La realtà definitiva è che da troppo tempo l’ONU non ha più voce oppure predica nel buio, mentre le grandi potenze cercano un nuovo assetto che ristabilisca un ordine. Si è trascurata la politica e la diplomazia da tempo ormai immemorabile.

Il paradosso lo si vedrà oggi: tutti guarderanno l’andamento delle borse mondiali, le perdite economiche, il prezzo del petrolio, gli scatti dell’inflazione. Tutte cose importanti. Ma sarebbe bene osservare l’ansia generale, il fiato sospeso dei cittadini di tutto il mondo preoccupati dalla possibilità che, giorno dopo giorno, azioni e repliche punitive sconfinino alla fine in una nuova guerra mondiale all’ombra di un confronto nucleare.

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