Iran: tre ayatollah criticano le esecuzioni dei manifestanti
In Iran cresce sempre di più la tensione attorno alle proteste che da settimane attraversano tutto il paese. Oggi, infatti, arriva la notizia del secondo manifestante giustiziato con l’accusa di aver ucciso due Basiji, ovvero militari del personale esercito dell’Ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema dell’Iran. Una tensione sapientemente alimentata da Khamenei che ultimamente ha intensificato le pene di morte, che attualmente pendono su 11 persone, delle quali due sono già state giustiziate.
Attorno a questa scelta si sta creando un vero e proprio caso in Iran, al punto che tre ayatollah (ovvero i massimi esperti di studi sul Corano) si sarebbero apertamente esposti contro il regime di Khamenei. L’ayatollah Mohammad Ali Ayazi, uno dei membri più anziani del seminario di Qom, ha criticato, in particolare, l’accusa di “Moharebeh” (ovvero “Guerra contro Dio”) che viene mossa ai manifestanti. “Moharebeh non è applicabile nel caso in cui gli agenti impediscano a qualcuno, che ha il diritto di protestare contro la situazione esistente, di farlo accusandolo quando prova a difendere il suo diritto”, avrebbe detto secondo quanto riporta Repubblica.
Esecuzioni in Iran, Ayatollah: “Processi iniqui”
Il tenore delle critiche mosse dai tre ayatollah contro il regime in Iran sono del tutto simili l’una alle altre, e tutte sembrano sottolineare soprattutto l’uso scorretto dell’accusa di Moharebeh. Secondo l’ayatollah Morteza Moghtadai, peraltro ex capo della Corte Suprema iraniana “chiunque sia accusato di ’Moharebeh’ o ’corruzione sulla terra’ non dovrebbe essere necessariamente giustiziato“, sottolineando come tale accusa, nell’Islam, sia soprattutto relativa alle guerre, non tanto alle faide tra singole persone. “Se una persona uccide qualcuno, sì, può avere una condanna a morte, ma se minaccia o intimidisce non può ricevere la pena capitale”, ha concluso l’ayatollah Moghtadai.
Inoltre, secondo i tre ayatollah, dietro alle esecuzioni volute del regime in Iran ci sarebbe anche una scorretta gestione dei cari giudiziari. Lo sottolinea lucidamente soprattutto l’ayatollah Ali Ayazi, che secondo Repubblica avrebbe detto che “in una questione importante come l’esecuzione, è fondamentale che un avvocato indipendente sia in grado di difendere l’imputato. Il processo dovrebbe essere pubblico e dovrebbe essere presente una giuria”, mentre se così non fosse, l’esito sarebbe solamente un aumento del “ciclo della violenza“.