Intervenendo a un incontro pubblico con alcuni funzionari, l’ayatollah iraniano Ali Khamenei, Guida suprema del paese, ha riaperto alla possibilità di uno scontro con il nemico di sempre, Israele. “Vogliamo distruggere Israele” ha detto, spiegando poi che non si intende attaccare la popolazione israeliana, ma perseguire “la distruzione di un regime e di criminali come Netanyahu”. Già a fine ottobre, il ministro della Difesa iraniana aveva dichiarato che l’Iran “è in grado di distruggere Israele in mezz’ora di tempo”. Secondo l’ex comandante del Comando operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore Marco Bertolini, “l’Iran ha solo da perdere se pensa di attuare un progetto del genere, perché la reazione degli Stati Uniti, di tutto il mondo occidentale e dello stesso Israele sarebbe per loro rovinosa”. Quelle di Khamenei sono parole poco credibili e propagandistiche, secondo Bertolini, che ha commentato anche la difficile situazione dell’Iraq, paese confinante, da giorni alle prese con imponenti manifestazioni popolari contro il governo: “Non credo che l’America abbia interesse a lasciar precipitare il paese in uno scontro civile che destabilizzerebbe una regione già in condizioni drammatiche e pericolose”.
Come mai la Guida suprema dell’Iran, in un momento in cui la tensione nella regione sembrava calare, ha rispolverato di nuovo la minaccia di distruggere Israele?
Ritengo sia una minaccia poco credibile, quasi surreale. L’Iran non oserà mai fare niente di concreto in questo senso, perché sa che incapperebbe nelle azioni di ritorsione di tutto l’Occidente, in particolare dell’America, senza dimenticare che Israele stesso vanta una tecnologia militare imponente. Gli israeliani lo hanno già dimostrato con attacchi cibernetici che hanno distrutto alcune centrifughe destinate alla produzione nucleare in Iran.
Poche ore dopo la minaccia di Khamenei, le agenzie hanno battuto la notizia che in Iran è stato razionalizzato il petrolio e aumentato il prezzo della benzina. Secondo lei, le due cose sono collegate?
Suona come una conferma al fatto che quella di Khamenei è solo una frase strumentale. L’aumento del carburante e la razionalizzazione del petrolio dimostrano infatti che l’Iran deve affrontare una crisi economica interna, dovuta alle sanzioni, molto forte. Minacciare Israele può essere un modo per agire sul consenso interno.
Un’azione di propaganda per distrarre la popolazione dai guai nazionali?
Esatto. La contrapposizione con Israele è molto sentita a livello popolare, infiamma sempre gli animi. Agitando una minaccia del genere, Khamenei non fa altro che spingere la parte più radicale della popolazione verso il governo.
Eppure l’Iran con i recenti attacchi all’Arabia Saudita ha dimostrato una certa efficacia sul piano militare. E qualche settimana fa il ministro della Difesa ha dichiarato che l’Iran è in grado di “distruggere Israele nel giro di mezz’ora” grazie alla guerra asimmetrica. Cosa intendeva?
Per guerra asimmetrica si intende un conflitto nel quale le due parti usano metodologie e tecniche diverse, e di solito quella agitata dai paesi meno forti dal punto di vista militare è il terrorismo. Ma l’Iran ha solo da perdere a ipotizzare una cosa del genere dopo che Trump ha imposto nuove sanzioni e con l’Europa che volente o nolente è costretta a seguirlo. Agendo così, gli iraniani non fanno altro che tagliarsi i ponti dietro le spalle.
Nel confinante Iraq, intanto, il popolo da giorni scende in piazza contro il governo. Si corre il rischio che la situazione possa precipitare in una guerra civile?
L’Iraq si trova già in crisi, perché risente direttamente della situazione siriana. È un paese cerniera nello scontro, al momento indiretto, tra Arabia Saudita e Iran. Non dimentichiamo che in Iraq è nato l’Isis, dove nel 2014 fece la sua prima comparsa. Ci sono poi tensioni separatiste da parte dei curdi, che il governo di Baghdad non può combattere, come fa la Turchia, con la forza.
Quali sono le sue previsioni?
L’Iraq è un paese sconfitto, militarmente, e ancora in ricostruzione. C’è da sperare che non si lasci degenerare questa crisi. L’America non credo abbia interesse ad abbandonarlo a una crisi che potrebbe dare ulteriori spazi all’Iran.
In che senso?
In Iraq c’è una componente sciita importantissima, molto sensibile nei confronti dell’Iran. Qualunque sommovimento che possa toccare questa componente verrebbe visto da Teheran come un motivo per mobilitarsi. Cosa possa succedere al momento non possiamo dirlo: l’area è così complessa e agitata da tanti problemi che può portare a qualunque evoluzione.