L’identità cristiana rischia di scomparire dall’Iraq, eppure continua a resistere nonostante guerre e violenze. La comunità di cristiani si è ridotta notevolmente negli ultimi decenni in Iraq a causa di guerre (come quella contro l’Isis) e politiche discriminatorie, ma c’è chi guarda con speranza al futuro. I primi fedeli si stabilirono nel paese nel I secolo, eppure negli ultimi trent’anni si è passati da 1,4 milioni di cristiani in Iraq a circa 150mila. Un crollo che, secondo quanto riportato da Domani nella sua analisi odierna, sarebbe imputabile anche alle politiche messe in atto da Saddam Hussein, oltre che alle guerre degli ultimi decenni e alla persecuzione dello stato islamico. Si è verificato, infatti, un forte esodo di cristiani, soprattutto dalla valle del Ninive, una zona situata a nord dell’Iraq, nei pressi della città di Mosul.



Nell’agosto 2014 ben 120mila cristiani furono costretti alla fuga nel giro di una notte, quella tra il 6 e il 7 agosto. Quindi, lasciarono una regione in cui il cristianesimo era arrivato venti secoli prima. Per chi è rimasto nel Ninive non è stato facile adattarsi al nuovo contesto sociale. La lingua ufficiale del Kurdistan è il curdo, invece nel resto del paese si parla arabo, e le due comunità non conoscono che la loro lingua nella maggior parte dei casi. I corsi di lingua sono stati preziosi anche per superare le divisioni etnico-religiose che regolano i rapporti umani in Iraq. Si lavora ad un Iraq più inclusivo e giusto, anche per i cristiani, quindi ci si rivolge ai giovani, visto che la popolazione è formata in larga maggioranza da under 35.



“DIFFICILE PER I CRISTIANI COSTRUIRE UN FUTURO IN IRAQ”, MA NON IMPOSSIBILE

Le politiche imposte da Saddam Hussein e dal suo partito, il Ba’ath, sono state dure nei confronti dei cristiani. Neppure la caduta dello stato islamico è servita a fermare l’esodo di cristiani. «In tanti vivono con la valigia pronta, quindi non pensano nemmeno a costruirsi un futuro qui», spiega a Domani padre Jens, priore e fondatore della comunità di Deir Maryam al-Adhra insieme a padre Paolo Dall’Oglio. Solo a Mosul, fino al 2003 vivevano 24mila cristiani. Dopo l’occupazione dell’Isis ne sono tornati soltanto 350. Anche la comunità del Ninive, spaventata dal rischio di attentati, non è tornata nelle proprie case, peraltro in molti casi queste sono andate distrutte dalla guerra o sono state riempite di bombe dai miliziani dell’Isis.



Le zone finite al Califfato non sono state ancora del tutto bonificate. L’esodo, però, ha causato anche la nascita di nuovi quartieri cristiani, come quello di Ankawa a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. Anche la comunità di padre Jens resiste, nel segno dell’integrazione con le altre regioni che da sempre guida la comunità monastica al-Khalil, fondata da padre Dall’Oglio, scomparso in Siria nel 2013, e promotrice del dialogo tra fedi diverse. Non mancano le difficoltà, ma superata l’emergenza Isis, si guarda al futuro e si continua a credere nella promozione del dialogo interreligioso.