Un lancio di missili ha colpito l’aeroporto situato nel complesso militare di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove è di stanza la maggior parte delle forze americane ancora nel paese, circa 2.500 soldati. Non si sono registrate vittime, solo alcuni feriti. Sebbene l’Iraq sia un paese dove gli attentati, nonostante la fine dello Stato islamico, continuano a essere perpetrati, Erbil era sempre stata risparmiata, a parte l’attacco di un anno fa esatto, come ritorsione iraniana dopo l’uccisione del generale Qasem Soleimani. L’attacco di queste ore è stato rivendicato dai cosiddetti Guardiani del sangue, una delle tante milizie filo-iraniane, ma, come ci ha detto in questa intervista il professor Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica di Milano, esperto di geopolitica e di finanza islamica, “bisogna capire chi siano gli autori dell’attacco. L’Iraq è un paese ancora in guerra, dove dozzine di formazioni si battono fra loro, soprattutto in Kurdistan, una sorta di terra di nessuno”. Senza dubbio, ci ha detto ancora, l’attacco alla base americana fa pensare “a un tentativo di pressione nei confronti dell’America affinché Biden si sieda a un tavolo e riapra i negoziati avviati da Obama e interrotti da Trump, ma quale sia la politica estera del nuovo presidente americano ancora nessuno lo ha capito”.



Come mai un attacco alle forze americane da parte di milizie filo-iraniane in un momento in cui sembrava che Biden volesse riportare il suo paese nell’accordo sul nucleare?

Non è affatto chiaro cosa Biden voglia fare con l’Iran, permane una grande incertezza. Quello che si può dire è che i rapporti con Israele non sono più così idilliaci come lo erano con Trump. Giusto per essere espliciti, non c’è stata ancora una telefonata di saluti tra il nuovo presidente americano e quello israeliano dopo la sua elezione. Ma in realtà non si capisce cosa Biden voglia fare in Medio Oriente.



È possibile che questi Guardiani del sangue si muovano da soli, senza ricevere ordini da parte iraniana?

Di sicuro non sappiamo se questa milizia sia veramente filo-iraniana, meglio essere prudenti nell’arrivare a conclusioni. In Iraq operano ancora molte forze in un campo di battaglia confuso e con tantissime formazioni in lotta fra loro.

Soprattutto nel Kurdistan, dove si trova Erbil, e dove ci sono anche i turchi e i curdi.

Esattamente. Non dico che l’anarchia regni, ma il Kurdistan è una sorta di terra di nessuno. Certamente si vuole fare pressione su Biden per indurlo a sedersi al tavolo con Teheran e ripristinare gli accordi sul nucleare firmati da Obama. Gli iraniani lo fanno in maniera esplicita dicendosi pronti a costruire una bomba atomica.



Quindi la base di Erbil è stato un obiettivo ben preciso?

Un obbiettivo carico di significati. Può anche essere una forma di pressione verso gli americani per ricreare una pax mediorientale, ma lo scenario è ancora molto incerto e questa nuova amministrazione, se in politica interna si muove con molta fermezza, ad esempio sulle questioni economiche, sul fronte internazionale è molto prudente, è ancora incerta su quale strada intraprendere. Lo si vede ad esempio nel rapporto con la Cina.

In politica estera, in fin dei conti, non c’è mai stata molta differenza fra democratici e repubblicani, non è così?

La differenza è che Biden si presenta come difensore della democrazia, cosa che a Trump non interessava, ma in buona sostanza non cambia granché. Biden deve prendere le misure, non si riesce a capire quale sia il suo pensiero.

L’Iraq è un paese importante, fa da cerniera tra Iran e Arabia Saudita, ma oggi non si capisce chi comandi davvero. Quale il suo peso attuale nello scenario mediorientale?

L’Iraq continua a contare, ha questa funzione che per gli iraniani è fondamentale, è lo sbocco per arrivare in Siria e in Libano, è il transito dove la loro area di influenza si manifesta, è a maggioranza sciita, quindi non può non contare. Però c’è troppa incertezza.

Erbil è anche la città da cui il Papa inizierà la sua prossima visita in Iraq. Dobbiamo preoccuparci?

Certamente non sarà una passeggiata e sicuramente saranno state prese rassicurazioni e garanzie, ma questo Papa dimostra di avere molto coraggio, anche perché non è una zona facile per gli stessi cattolici.

È una bella sfida quella lanciata da papa Bergoglio?

Proprio così.

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