Il ministero dell’Istruzione e del Merito ha diramato – con circolare n. 40055 del 12/12/2023 – le disposizioni relative alla complessa operazione delle iscrizioni degli alunni in vista del prossimo anno scolastico 2024/25 e lo ha fatto con largo anticipo, con le indicazioni affinché scuole e famiglie – che sono in buona sostanza i contraenti di una sorta di “negozio giuridico” che chiama in causa diritti e doveri di entrambe le parti – siano messe in condizione di formalizzare un atto amministrativo caratterizzato da estrema precisione nel procedimento di regolarizzazione delle operazioni nel periodo che va dal 18 gennaio al 10 febbraio 2024.
Ma la cosiddetta scelta del tipo di scuola non è facile, è quasi obbligata, perché nel modulo che devono compilare i genitori in tutto il nostro Paese si può segnare la preferenza per il tempo pieno, ma in realtà in molte scuole non esiste, perché i Comuni di riferimento non sono in grado di organizzare la mensa scolastica, indispensabile per tenere i ragazzi a scuola. È evidente che la mancanza di risorse dei Comuni che dovrebbero addossarsi un’ulteriore spesa è difficile quando spesso si è in dissesto. È il vero problema. Quindi la scelta diventa assolutamente obbligata.
Da qui, dunque, cominciano le disuguaglianze che continuano a perpetuarsi tra generazioni e cristallizzarsi a livello geografico a causa di bassi livelli di apprendimento e abbandoni precoci della scuola. Quest’ultima oggi è già differenziata e gli effetti si vedono sulla dispersione scolastica e sul tempo pieno che sono diversi nelle varie parti del Paese.
Tra i Paesi Ue, il nostro è uno di quelli dove il problema degli abbandoni precoci rimane più consistente. Nel 2022 l’Italia è la terza nazione con più abbandoni (12,7%), dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%). Ma il dato medio nasconde la vera realtà. I dati per Regioni ci dicono che in Sicilia il 21,2% dei residenti tra 18 e 24 anni ha lasciato la scuola prima del tempo: quasi 10 punti più della media nazionale. Seguono altre due grandi Regioni del Sud, entrambe sopra quota 15%: Puglia (17,6%) e Campania (16,4%). E queste tre Regioni costituiscono il 75% della popolazione meridionale: 15 milioni di abitanti sui 20 milioni che abitano quello che è il 40% del territorio italiano.
Il dato è assolutamente coerente con quello relativo al tempo pieno. Le 40 ore vengono scelte per il 67,5% dalle famiglie del Lazio, per il 63,3% da quella della Toscana, per il 62,7% da quelle dell’Emilia Romagna, per il 62,6% da quelle del Piemonte, per il 62,5% da quelle della Liguria. Di contro, in Sicilia, solo il 17,7% ha deciso di far frequentare il tempo pieno a 40 ore ai propri figli, con altre regioni meridionali che, pur non toccando il picco negativo siciliano, si mantengono generalmente più basse rispetto alla media. L’unica eccezione è la Basilicata che con il 57,8% è l’unica nel Sud ad avere una percentuale piuttosto alta per quanto riguarda le 40 ore.
La definizione di dispersione scolastica racchiude: la totale non scolarizzazione, l’abbandono ossia l’interruzione definitiva dei corsi di istruzione, la ripetenza, i casi di ritardo. Queste forme di insuccesso scolastico generano schiere di cittadini che non hanno risorse e competenze adeguate per partecipare proficuamente alla vita sociale e al mondo del lavoro. E il loro numero è troppo rilevante e sappiamo che uno dei punti deboli è l’orientamento rivolto agli studenti. Influisce, infatti, sulla durata e sull’indirizzo di studi scelto e sulla probabilità di completare gli studi. Poche azioni effettivamente attivate; la scarsa informazione sulle scuole che si possono scegliere; la carenza nel dialogo con le famiglie; la poca collaborazione e co-progettazione fra i soggetti che a livello locale insieme al mondo della scuola sono coinvolti nel percorso di orientamento. A questo si aggiunge la mancanza di enti e figure esperte e l’insufficienza delle risorse a disposizione.
Gli effetti negativi prodotti sulla forza lavoro dalla marcata riduzione attesa della popolazione residente in età di studio e di lavoro nei prossimi 20 anni potranno essere mitigati da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione e al mercato del lavoro, ma anche e soprattutto da un incremento della qualità dell’istruzione e della formazione e dal suo orientamento verso i fabbisogni di competenze della società e del sistema produttivo, elementi essenziali per migliorare la qualità e di conseguenza la produttività del capitale umano.
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