Il recente attentato organizzato (e rivendicato) dall’Isis in Iran, che ha colpito la commemorazione dell’uccisione del comandante Qasem Soleimani ferendo mortalmente più di 80 persone, ha aperto un interrogativo sulle ragioni che hanno spinto lo Stato Islamico ad attaccare quello che ad occhi disattenti potrebbe sembrare un loro alleato. Nella realtà, infatti, tra il califfato e la repubblica islamica non corre buon sangue, soprattutto perché più volte l’Isis ha puntato il dito contro l’Iran, accusandolo di essere un nemico dell’Islam e dei musulmani. Sembra, inoltre, che sia precisa intenzione dello Stato Islamico convincere Hamas della sua buona causa musulmana, interrompendo la sua alleanza con il “nemico” iraniano.



Il lungo odio tra Isis e Iran

Non a caso i terroristi dell’Isis nella loro rivendicazione dell’attentato hanno sottolineato che “l’asse della resistenza” formata dall’Iran e che comprende, oltre ad Hamas, anche Hezbollah, Houthi e milizie irachene e siriane, è “un’asse dell’illusione“. Inoltre, secondo lo Stato Islamico, quanto il regime iraniano sta facendo per Hamas è, in realtà, un pretesto per migliorare la sua posizione rispetto agli altri attori arabi del Medio Oriente, fingendo, secondo l’IS di appoggiare la causa palestinese per un interesse politico personale.



L’Isis, dunque, ha annunciato l’avvio, nei confronti dell’Iran, della campagna di violenza “Uccideteli dove li trovate” (citando il Corano), invitando i proseliti ad emulare quanto accaduto a Kerman. Non è, nuovamente, un caso la scelta della commemorazione della morte di Soleimani, considerato tra gli uomini forti mediorientali che ha contribuito alla distruzione del primo Stato Islamico nel 2017, sulle ceneri del quale è poi nato l’attuale Isis che, chiudendo il ciclo, ha attaccato l’Iran. Attualmente, nelle milizie del califfato si contano soprattutto curdi, arabi e baluci iraniani, ovvero le tre minoranze più diffuse nell’area e che da decenni lamentano le discriminazioni che subiscono proprio dagli iraniani. Lo scopo, ora, è quello di alimentare le tensioni tra minoranze e governo, al fine di creare una resistenza interna con l’intento probabile di replicare quanto accaduto in Afghanistan.

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