Le profonde divisioni presenti nel mondo islamico sono bene descritte da Fernando De Haro nel suo editoriale, insieme alla discutibile politica degli Stati Uniti nella regione. In chiusura del suo articolo, De Haro suggerisce di rafforzare le correnti che, dentro il sunnismo, più si oppongono all’estremismo islamista, come gli Emirati Arabi Uniti e l’imam al-Tayeb, rettore dell’università egiziana Al-Azhar. Grazie a costoro è stata possibile la storica visita del Papa ad Abu Dhabi e la firma del documento congiunto sulla Fratellanza umana. Senza togliere nulla all’importanza di questi eventi, va segnalato il permanere di difficoltà non trascurabili anche nei confronti di questi due interlocutori.
Rispetto all’estremismo wahabita del regime saudita, l’atteggiamento degli Emirati nei confronti delle religioni diverse dall’islam presenti nel Paese è sostanzialmente tollerante, pur ancora lontano da una vera libertà religiosa. Né potrebbe essere altrimenti in uno Stato la cui legge fondamentale è la sharia, alla quale deve tutto adeguarsi. Recentemente è stato costituito ad Abu Dhabi il Department of Community Development, che dovrà stabilire il quadro legale per la costituzione, l’organizzazione e l’autorizzazione di tutti i luoghi di culto nell’emirato. Un punto che può divenire problematico è che queste disposizioni non dovranno pregiudicare “l’originalità di costumi e tradizioni degli Eau, che originano dagli insegnamenti della religione islamica”.
Gli attuali governanti degli Emirati sembrano molto aperti a un’interpretazione non estremistica di questo riferimento all’assoluta preponderanza dell’islam, ma la situazione potrebbe cambiare se al governo arrivasse qualcuno più attento alle frange religiose più rigide, come quelle che hanno tentato di opporsi alla visita del Papa. Un freno al peggioramento della situazione è peraltro dato dall’enorme presenza di immigrati di altre religioni (quasi il 90% della popolazione totale è straniera), fattore imprescindibile per il mantenimento della ricchezza degli Emirati. In Arabia Saudita gli stranieri sono invece circa un quarto della popolazione e forse anche per questo la costruzione di luoghi di culto altri dall’islam rimane severamente vietata.
Tutto ciò non impedisce all’occidente, in primis agli Stati Uniti, di sostenere sauditi ed emiri nella loro sanguinosa guerra in Yemen, definita dall’Onu la peggiore catastrofe umanitaria degli ultimi decenni. Questa guerra ha senz’altro aspetti religiosi interni all’islam, il conflitto tra sunniti e sciiti, ma ha fortissime valenze politiche che si possono riassumere nello scontro tra Arabia Saudita e Iran. Al violento gioco per il predominio nell’area partecipano anche Qatar e Eau, il primo in opposizione a tutti gli Stati del Golfo, i secondi con una propria politica che tende a differenziarsi da quella saudita. È ciò che sta accadendo proprio nello Yemen.
Un’ultima osservazione è che non c’è da aspettarsi molto dai governi occidentali per quanto riguarda un incremento della libertà religiosa in questi Paesi, e non solo per ragioni politiche. Sarà bene ricordare le risorse finanziarie di cui dispongono Arabia Saudita, Eau e Qatar e del peso dei loro investimenti in occidente.
Per quanto riguarda al-Azhar, la collaborazione che si è creata con il Vaticano, anche a livello personale tra Papa Francesco e l’imam al-Tayeb, è molto importante e può produrre risultati positivi. Tuttavia, è pericoloso dimenticare una delle caratteristiche principali dell’islam sunnita: l’assenza di gerarchia e quindi di autorità che possano imporsi a tutta la comunità. Al-Azhar è indubbiamente molto autorevole, ma non ha l’autorità di far rispettare i propri giudizi, o documenti, al di là della propria cerchia di aderenti. Inoltre, l’università ha al suo interno anime diverse, anche vicine all’estremismo islamico, e in essa hanno studiato molti esponenti di correnti oltranziste.
Il rettore al-Tayeb è senza dubbio un moderato, ma rimane un musulmano ortodosso, con alcuni tratti che possono lasciare interdetti noi occidentali. Al Monitor riporta alcune sue dichiarazioni che rientrano in questa ottica, per esempio quando dice che la moglie può uscire dalla casa solo se autorizzata dal marito, e altrettanto vale per il lavoro. Più gravi sono un paio di interventi dello scorso maggio, in cui ha dichiarato che l’uguaglianza tra uomo e donna è contro natura e che i mariti possono picchiare le mogli, purché non rompano loro nessun osso.
Quest’ultima fatwa ha provocato molte critiche tra i laici egiziani, con richiami espliciti alla Costituzione che dichiara la parità tra uomo e donna. Diversi esponenti di al-Azhar hanno però sostenuto la piena aderenza delle fatwa di al-Tayeb al Corano e alla sharia. Qualche giorno dopo, al-Tayeb ha comunque ritirato la fatwa sulle “botte alle donne”, invocando una sistemazione giuridica del problema.
Al-Tayeb era stato nominato da Mubarak e viene considerato vicino ai militari attualmente al governo, quindi avversato dai Fratelli musulmani, che lo definiscono “un funzionario del regime”. Confermando quanto sia determinante il ruolo di chi è al governo perché possa essere assicurata almeno un minimo di libertà religiosa nei Paesi musulmani.