Ha solo 19 anni la ragazza di origini kosovare arrestata a Milano in un blitz delle squadre speciali. Viveva con il fratello, mentre il marito, rimasto in Kosovo, era imparentato con l’autore della strage di Vienna del 2 novembre 2020, anche lui kosovaro, Kujtim Fejzulai, che con un fucile aveva ucciso quattro persone ferendone molte altre nelle strade del centro della capitale austriaca. Nel cellulare della giovane sono state rinvenute foto di decapitazioni dell’Isis, scene di combattimenti, esecuzioni sommarie di infedeli e attacchi terroristici nelle città europee messi in atto dai mujaheddin, dei quali vengono esaltate le gesta.
La donna, secondo le autorità, era impegnata in attività propagandistica per convincere ragazze islamiche a sposare jihadisti. “L’idea del lupo solitario è una narrazione giornalistica che vuole esorcizzare la realtà dei fatti” ci ha detto in questa intervista Stefano Piazza, giornalista, saggista, esperto di terrorismo islamico, “perché cellule jihadiste in Europa non hanno mai smesso di esistere e perché chiunque compia un attentato, anche da solo, ha bisogno di supporto, finanziamenti, coperture”. Nel frattempo nel Regno Unito è stato elevato il livello di allarme dopo il secondo attacco in un mese. Prima l’uccisione di un parlamentare a opera di un somalo radicalizzato, poi il falso convertito al cristianesimo che è rimasto ucciso nell’esplosione del taxi di fronte al Women’s Hospital di Liverpool.
È allarme terrorismo in Europa. L’arresto della giovane kosovara che viveva a Milano con il fratello e sposata con un uomo legato ai Leoni dei Balcani, organizzazione jihadista kosovara, fa pensare che siamo davanti a qualcosa di più del cosiddetto “lupo solitario”.
Sono cose che dico da troppo tempo: i cosiddetti lupi solitari esistono solo nella fantasia e nella narrazione giornalistica. I lupi solitari hanno sempre bisogno del sostegno di qualcuno che li indottrina, che li finanzia, che ne copre la fuga. Sono un fenomeno di cui si parla molto forse perché si vuole esorcizzare la paura che esistano gruppi organizzati.
Che invece ci sono, dunque.
Non se ne sono mai andati via dall’Europa, continuano a operare, c’è una propaganda fortissima sui canali del califfato, che oggi è una realtà virtuale, o sui siti che fanno riferimento alla jihad. Il fatto che questa ragazza fosse imparentata e avesse legami con i Leoni dei Balcani non deve stupire, perché questa è una organizzazione molto radicata in Europa, a causa della diaspora balcanica, e sono tantissimi anche i bosniaci. Questo gruppo, che si ispira allo Stato islamico, è molto presente. Non deve stupire neanche che sia una donna: le donne radicalizzate o che si radicalizzano sono un fenomeno concreto e numeroso.
Quindi stupirsi davanti a un episodio come questo arresto è sintomo di scarsa conoscenza della realtà delle cose?
Sì, ci si continua a stupire di una realtà invece molto radicata.
Secondo lei, da quello che possiamo capire, questa donna che abitava con il fratello faceva parte di una cellula che doveva attivarsi per possibili attentati?
Non credo che volessero colpire in Italia. Se avessero avuto dei progetti di questo tipo, l’avrebbero arrestata molto prima. Da quello che sappiamo questa ragazza era molto attiva dal punto di vista propagandistico. La giovane età le consentiva di reclutare e fare proselitismo con le coetanee: la capacità di usare i social è molto importante.
Nel Regno Unito è stato alzato il livello di allarme, dopo il kamikaze falso convertito che si è fatto esplodere in un taxi. Anche in questo caso è sbagliato parlare di lupi solitari?
La Gran Bretagna è un caso molto particolare. Si sta vivendo una nuova recrudescenza del terrorismo per via del fatto che negli ultimi tempi sono stati liberati molti predicatori del male per reati commessi tra il 2014 e il 2015, chi per buona condotta chi per decorrenza dei termini di carcerazione. Tra loro c’è sicuramente Anjem Choudary, un anglo-pakistano e tra i più pericolosi predicatori del male inglesi.
Un po’ pericoloso rimettere in libertà personaggi del genere
Ha ricominciato esattamente da dove aveva finito quando è stato arrestato e come lui moltissimi altri. C’è un problema enorme nel proselitismo nelle moschee in Inghilterra, ma anche nelle carceri.
Non a caso il Copasir recentemente ha cercato di identificare alcune misure anti-terrorismo, tra cui un programma di deradicalizzazione nelle carceri. Potrebbe funzionare?
L’idea è buona, ma come dice Laura Sabrina Martucci, docente universitaria a Bari che si occupa di prevenzione della radicalizzazione del terrorismo di matrice religiosa e di percorsi e tecniche di deradicalizzazione, occorrono figure formate e capaci di fare queste cose, che ancora in Italia non ci sono.
(Paolo Vites)
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