“Stiamo tornando alla guerra per la vittoria. E la vittoria è la distruzione del nemico. Vale per l’Ucraina e vale per Israele contro Hamas. Se Hamas sopravvive Israele ha perso. La popolazione di Gaza è ostaggio di Hamas, non può scegliere se stare con loro o con qualcun altro, è vittima della guerra e dei suoi carnefici, che non sono solo gli israeliani ma soprattutto quelli di Hamas”. Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, vede così il conflitto che in Medio Oriente sta preoccupando il mondo. Attaccato in modo inaspettato, Israele vuole ricostituire delle fasce di sicurezza, a Gaza come al confine con il Libano, che mettano uno spazio tra sé e i suoi nemici. Per far questo dovrà probabilmente lottare casa per casa a Gaza, dove affronterà una resistenza organizzata: non sarà facile. Anzi, potrebbe essere il suo Vietnam. L’attuale situazione è frutto del fallimento del progetto che prevedeva la cessione di territori da parte di Israele per ottenere in cambio la pace. Gaza fu uno di quelli. Ora quei territori sono il punto di partenza di attacchi agli israeliani.



Israele ha colpito in Libano e da parte sua Hezbollah ha rivendicato un’azione contro Israele stesso: è il primo segnale di un allargamento del conflitto?

Hezbollah ha voluto far sentire la sua voce dopo l’attacco di Hamas, ma non ha scatenato quell’offensiva sul fronte Nord che qualcuno paventava. Molti sostengono che si muoverà soltanto se l’Iran ordinerà un attacco, io credo che abbia una sua autonomia da Teheran e non sono neanche convinto che l’Iran cerchi l’escalation, né che sia il mandante di questa iniziativa. Israele risponde per rappresaglia e anche come monito, per far capire che, se Hezbollah vuole attaccare, è pronto a rispondere.



Hezbollah potrebbe decidere di attaccare direttamente Israele? È un’ipotesi da prendere in considerazione?

Se decidesse di attaccare da Nord lo farà nel momento in cui le truppe israeliane saranno penetrate a Gaza, quando saranno profondamente e in gran numero invischiate nella battaglia casa per casa. Con un esercito avversario maggiormente esposto su questo fronte Hezbollah potrebbe attaccare complicando le cose a Israele.

Lo scontro nella Striscia è tra un esercito regolare e un’organizzazione terroristica, anche se quest’ultima ha dimostrato di avere acquisito competenze militari che ha utilizzato per un attacco su vasta scala. Questo scontro asimmetrico può portare Gaza a diventare il Vietnam di Israele?



Gaza è già stata il Vietnam di Israele perché Tel Aviv si è ritirata da quei territori quando era premier un falco come Ariel Sharon, uno che nel 1973 come comandante di divisione passò il Nilo con l’intenzione di entrare al Cairo. Fu l’uomo di “Pace in Galilea”, l’offensiva che portò gli israeliani nel 1982 direttamente a Beirut a distruggere i campi palestinesi da cui partivano le incursioni, come quello di Sabra e Chatila, noto per il numero elevato di palestinesi che vennero uccisi. Ebbene Sharon, nel 2005, ordinò il ritiro da Gaza per completare il progetto “Territori in cambio di pace”, cominciato da Ehud Barak, laburista, che attuò il ritiro israeliano dalla fascia di sicurezza del Libano del Sud.

Perché fu programmato il ritiro da questi territori?

Barak lo fece in cambio della garanzia che nessuno avrebbe attaccato Israele. In realtà Hezbollah prese il controllo del confine e con il pretesto che gli israeliani non avevano abbandonato le fattorie di Shebaa, un fazzoletto di terra, continuò a colpire Israele. Tra l’altro attestandosi in una posizione di vantaggio su colline da cui si domina la Galilea e si vede Haifa. Questo è successo nel 2000.

Il ritiro da Gaza di Sharon come è collegato a questa vicenda?

Il ritiro da Gaza, cinque anni dopo, aveva la stessa pretesa: lasciare quel territorio all’ANP ottenendo in cambio la pace. Sharon se ne andò con tante polemiche, perché dovettero essere abbandonati degli insediamenti israeliani.

Anche a Gaza il progetto “terra in cambio di pace” fallì?

Ci fu il “colpo di Stato” di Hamas che prese il controllo di Gaza impiccando e fucilando tantissimi palestinesi che stavano con l’Autorità nazionale palestinese. Hamas in questi anni ha ucciso più palestinesi di quanti ne abbiano uccisi gli israeliani. Non solo, utilizza la popolazione di Gaza come scudo umano: i soldati sparano dai palazzi e impediscono ai civili di evacuarli. I consiglieri militari iraniani hanno insegnato loro a creare tunnel, reti sotterranee dove vengono prodotte anche armi. Hamas è sopravvissuta mostrando al mondo le immagini dei civili uccisi (anche quelli usati come scudo umano) dal fuoco israeliano, producendo una pressione sull’opinione pubblica tale da indurre Israele a fermarsi.

Una delle armi che useranno in questa occasione sarà ancora quella di fare pressione sull’opinione pubblica internazionale?

Sì, punteranno su questo anche stavolta, anche se la situazione è un po’ diversa: Netanyahu non ha parlato di rappresaglia ma di vendetta. Per la prima volta Hamas si è dimostrata non solo un’organizzazione terroristica, una milizia in grado di lanciare razzi contro le città, ma un’organizzazione di stampo militare, capace di condurre incursioni in profondità nel territorio israeliano fino a 60-70 chilometri dal confine: una vera e propria invasione. Una minaccia che ha invaso il territorio israeliano così come era successo 50 anni prima, nel 1973, con la guerra dello Yom Kippur e l’incursione siriana ed egiziana.

L’operazione di terra a Gaza può essere una trappola per gli israeliani?

Come Hamas ha pianificato perfettamente l’offensiva in territorio israeliano, inclusa l’eliminazione di civili e dei ragazzi al rave party, mi viene da pensare che sia preparata molto bene per accogliere a Gaza l’invasione israeliana: immagino che avranno minato diverse strade e incroci, avranno trasformato tutte le cantine in bunker, preparando il territorio per difendersi in maniera strenua. Certo, rispetto al passato c’è un approccio di Israele meno attento agli effetti collaterali: lo sterminio gratuito di civili israeliani li rende politicamente meno sensibili a questo aspetto. Per Israele c’è un problema strategico.

Quale?

Dovrà prendere tutta la Striscia di Gaza ed eliminare i miliziani di Hamas uno alla volta: i 15-20mila combattenti di Hamas più i 3mila della jihad islamica palestinese dovranno essere tutti uccisi o catturati. Israele dovrà riassumere il controllo della Striscia. Se Hamas non venisse cancellata come minaccia militare Israele avrebbe perso.

Già si parla di un milione di persone da evacuare, 1.300 edifici distrutti, 1.900 palestinesi uccisi con 641 bambini: c’è un limite oltrepassato il quale l’Iran o gli altri Paesi arabi si decideranno a intervenire per cercare di fermare Israele?

I numeri in questo caso non contano: ogni volta che c’è una guerra scatta la propaganda, non sono affidabili. Comunque se l’Iran vorrà la guerra contro Israele dovrà lanciare un’offensiva militare missilistica. Ma non credo che nessuno la cerchi, perché Israele è una potenza nucleare. Fin che deve combattere Hamas a Gaza è un conto, se dovesse trovarsi di fronte all’attacco di missili balistici iraniani le cose cambierebbero. Nessuno credo abbia il coraggio e la volontà di affrontare il rischio che Israele si senta così minacciata da rischiare il ricorso alle armi nucleari.

Ma il motivo vero della guerra qual è? Perché è stata scatenata proprio in questo momento?

Non dimentichiamoci che Paesi che hanno espresso solidarietà ad Hamas e non a Israele ce ne sono stati: il Qatar, l’Iran, la Siria, la Tunisia e l’Algeria. Hamas attacca Israele per scatenare una violenta rappresaglia a Gaza che faccia saltare gli accordi di Abramo, stretti per normalizzare i rapporti di molti Paesi con Tel Aviv: finora sono stati firmati con Emirati Arabi, Sudan, Bahrein, Marocco. Gli accordi tra Israele e Arabia, che vedevano una trattativa in corso, credo siano ormai congelati. I civili palestinesi che verranno uccisi e quelli israeliani, gli stesi miliziani di Hamas sono tutte pedine sacrificabili per raggiungere questo obiettivo strategico, geopolitico: far tramontare la pacificazione tra Israele e il mondo arabo.

Il possibile arrivo di profughi palestinesi preoccupa i Paesi confinanti con Israele: quali effetti può avere nell’area?

Persino Paesi che hanno fatto pace con Israele da tempo come Giordania ed Egitto, in questo momento, sono arrabbiati e preoccupati per la popolazione di Gaza che scappa. Per arrivare in Giordania bisognerebbe creare un corridoio, l’Egitto, invece, sarebbe uno sbocco naturale per loro, ma nessuno vuole due milioni di palestinesi che sono cresciuti negli ultimi anni con l’educazione jihadista che ha dato loro Hamas. La popolazione di Gaza è composta per lo più da 14-16enni, ragazzini che sono cresciuti per lo più nelle scuole di Hamas, nella cultura dell’odio e del jihad.

Il futuro di Israele in questo contesto non potrà essere che quello di un Paese barricato in casa, che si dovrà difendere ancora?

Israele deve fare i conti con il fallimento del progetto a cui lo avevano portato Stati Uniti ed Europa con fortissime pressioni e che prevedeva la cessione di territori in cambio di pace. I territori ceduti, a Gaza come nel Sud del Libano, sono diventati gli avamposti da cui colpire in profondità Israele. Sul piano militare per Netanyahu la soluzione migliore è garantirsi quelle fasce di sicurezza a cui il Paese aveva rinunciato fra il 2000 e il 2005: riconquistare la fascia meridionale del Libano e rimettere piede a Gaza per garantirsi uno spazio di sicurezza. Oppure eliminare completamente Hamas e riconsegnare Gaza all’ANP, che ha un approccio più moderato. Non ci sono altre opzioni: il negoziato con i palestinesi è finito, la priorità è la sicurezza, realizzando zone cuscinetto.

La narrazione secondo cui gli israeliani hanno favorito la radicalizzazione dei palestinesi occupando i territori e rendendo loro impossibile la vita anche nella stessa Gaza allora perde senso?

Non vorrei entrare nella schiera dei tifosi dell’uno o dell’altro: non serve, bisogna capire i problemi per trovare delle soluzioni. È vero che Israele non ha rinunciato a molti suoi insediamenti, ma è anche vero che da Gaza si è ritirato dandola all’Autorità nazionale palestinese. Il “colpo di stato” di Hamas contro l’ANP ha dimostrato a Israele che quest’ultima non è un’autorità affidabile: non è in grado di controllare la sua gente.

(Paolo Rossetti)

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