L’allarme stavolta non arriva dai detrattori di Israele, ma, secondo quanto riferisce il quotidiano The Times of Israel, dallo Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano, che ha inviato all’esecutivo una relazione con un messaggio preciso: le politiche messe in atto dal governo Netanyahu, volute dai partiti di estrema destra, stanno portando la Cisgiordania sull’orlo di un’insurrezione. Il rifiuto di consegnare all’ANP centinaia di milioni di entrate fiscali che spettano all’Autorità nazionale palestinese e il divieto di spostamento per 150mila palestinesi che lavorano in Israele stanno esasperando gli animi a tal punto da rendere sempre più probabile l’esplosione della protesta.
Ma questo, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato del Tg1 Esteri, potrebbe essere proprio quello che la destra di Smotrich e Ben Gvir vuole, per poter arrivare a una resa dei conti anche in Cisgiordania. Di fatto così il pericolo di aggravare la situazione su questo fronte è sempre più consistente.
Intanto Netanyahu, come ricorda un sondaggio pubblicato da The Jerusalem Post, perde sempre più consensi nei sondaggi, a favore del generale Gantz, entrato nel governo di unità nazionale dopo il 7 ottobre. Quel che chiedono però gli elettori non è tanto un cambiamento di linea politica, quanto di gestire diversamente la presenza della destra e certe sue dichiarazioni inopportune.
Lo Shin Bet ha messo in guarda Netanyahu su quanto può succedere in Cisgiordania per colpa di alcuni provvedimenti del governo: cosa sappiamo?
A volte succede che militari e comandi dei servizi segreti siano più prudenti dei politici. I provvedimenti in questione sono quelli che il governatore civile della Cisgiordania, ministro delle Finanze e viceministro della Difesa, Smotrich ha messo in essere fin dall’inizio del suo mandato e accentuato dopo il 7 ottobre: il blocco del denaro raccolto dagli israeliani nell’ambito dei dazi doganali, fonte primaria per l’ANP per pagare i propri dipendenti e i pensionati, e il blocco dei lavoratori che vivono in Cisgiordania e che hanno da tempo il permesso per andare a lavorare in Israele.
Qual è la ragione che ha indotto a prendere questi provvedimenti?
I motivi che hanno determinato le azioni di Smotrich, condivise dal gabinetto israeliano e dal primo ministro, sono politici. All’inizio all’ANP è stato chiesto di non sostenere con i soldi delle entrate fiscali le famiglie delle persone imprigionate in Israele, ma non è questo il punto: c’è un atteggiamento di Smotrich che vuole evidenziare come l’Autorità nazionale palestinese non sia un interlocutore valido e credibile. Questo per dire che la soluzione al conflitto non può essere quella di due Stati confinanti, ma occorre un unico Stato (Israele, ndr) che controlli lo spazio dal Giordano al Mediterraneo.
Il divieto di movimento opposto ai lavoratori, invece, da dove nasce?
Le decine di migliaia di persone che si recano a Gerusalemme o a Tel Aviv per fare i cuochi, i camerieri, i muratori o gli operai sono sottoposte a un vaglio accurato, tanto che i servizi segreti si spingono a chiedere ad alcuni di loro informazioni sui palestinesi che vivono nelle città della West Bank. Ma se queste famiglie non ricevono più un regolare stipendio l’ira montante all’interno di quel mondo può accentuare le azioni violente, lo scontro, e quindi la necessità da parte dell’esercito israeliano di un controllo e una repressione ancora più pesanti. La percezione è che dallo scontro possa nascere un risultato politico definitivo per chi nel governo Netanyahu pensa che sia l’occasione giusta per creare un solo Stato nella regione.
Qual è il messaggio dello Shin Bet, allora?
Il rapporto dello Shin Bet è interessante perché fa luce sulla realtà, fotografa la situazione: il malcontento in Cisgiordania sta crescendo e si va verso un’esplosione della violenza, determinata da atti dell’esecutivo. Dice al governo che se vuole perseguire certi obiettivi politici deve essere preparato alle conseguenze, cioè a una crescita esponenziale della violenza.
Un sondaggio su The Jerusalem Post rivela che la maggior parte degli israeliani pensa che il loro Paese sia vicino alla vittoria nella guerra. Contemporaneamente emerge che Netanyahu ha perso un ulteriore 5% di consensi a favore di Benny Gantz, ritenuto più idoneo come primo ministro. Significa uno spostamento dell’elettorato al centro, la volontà di un governo più moderato?
Il sondaggio conferma una linea di tendenza che si è rafforzata negli ultimi mesi. Due sono le figure che si contendono la successione a Netanyahu: una è Lapid, che guida il più importante partito di opposizione, rimasto fuori dal cosiddetto governo di unità nazionale, l’altra è Gantz, militare che invece nell’esecutivo ci è entrato, considerato uomo di centro, ma che in realtà è di centrodestra. Quello che si chiede a quest’ultimo non è di invertire la politica di Netanyahu, ma di essere più efficienti in quello che si fa, di mettere a tacere l’estrema destra governativa, non tanto riguardo agli atti che compie, ma alle dichiarazioni che fa.
Cosa vuol dire concretamente?
C’è un esempio che può spiegare questo punto. I giornali hanno commentato quello che gli avvocati israeliani hanno detto davanti alla Corte dell’Aja, rispondendo al Sudafrica, riguardo all’accusa di genocidio contro Israele. Tra questi commenti quello del quotidiano Haaretz è stato: “Hanno fatto un buon lavoro giuridico nonostante lo straparlare dei politici israeliani nei giorni precedenti”, facendo riferimento, per esempio, a dichiarazioni tipo quella relativa all’uso della bomba atomica per Gaza come soluzione per il conflitto. Quello che il mondo del centrodestra chiede è di tenere a bada il linguaggio dei ministri, cosa che Netanyahu evidentemente in questo ultimo anno non è riuscito a fare: i nuovi ministri del centrodestra sono andati a ruota libera. Smotrich e Ben Gvir anche in queste ultime ore hanno detto che l’uscita “volontaria” dei palestinesi dai loro territori è la soluzione migliore per Israele.
(Paolo Rossetti)
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