ISRAELE APRE ALL’INTESA SU GAZA: “MA BASTA RICHIESTE DELIRANTI DI HAMAS”

Nei prossimi giorni l’accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza potrebbe essere finalmente vicino: i segnali positivi nelle ultime ore arrivano praticamente da tutti gli “attori” in campo nella funesta guerra del Medio Oriente cominciata lo scorso 7 ottobre con gli attentati palestinesi contro i kibbutz israeliani. Dagli Usa allo stesso Netanyahu, dall’Iran fino ad alcune timide “aperture” dello stesso gruppo Hamas: si parla di «terreno di intesa» dopo che negli scorsi giorni la nuova tornata di colloqui a Parigi tra Usa, Israele, Egitto e Qatar aveva portato ad alcuni importanti passi avanti.



Durante un’intervista poi oggi alla Cbs, il Premier Bibi Netanyahu ha confermato l’avvicinarsi dell’intesa sulla liberazione del circa centinaio di ostaggi ancora in mano ad Hamas, con tanto di cessate il fuoco momentaneo nella Striscia di Gaza: «Stiamo lavorando un accordo per gli ostaggi. Voglio arrivare a un’intesa e apprezzo gli sforzi degli Stati Uniti. Non so se la raggiungeremo ma se Hamas riducesse le sue richieste deliranti per tornare alla realtà, allora un accordo ci sarebbe». La corsa della comunità internazionale sugli accordi si fa sempre più urgente vista l’intenzione di Israele di muovere operazioni militari verso il Valico di Rafah, nel sud della Striscia, per provare a chiudere nella morsa ciò che rimane di Hamas: il timore è per il circa un milione di sfollati al confine con l’Egitto, ragione per cui Israele in primis sta valutando piani specifici per il trasferimento dei civili lontani dai prossimi obiettivi bellici.



«Una volta che le forze armate israeliane entreranno a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, ‘ci vorrà ancora qualche settimana e poi si arriverà alla vittoria totale’ su Hamas», ha detto ancora Netanyahu nell’intervista domenicale. Nelle prossime ore il Premier incontrerà il capo di Stato Maggiore che gli presenterà un aggiornamento sulle fasi di preparazione del duplice piano militare: da un lato l’evacuazione dei civili, dall’altro l’operazione per distruggere i battaglioni di Hamas, «Non siamo in disaccordo, gli Stati Uniti e io, sulla necessità di evacuare la popolazione. Li trasferiremo a nord di Rafah».



SULLIVAN (USA): “INTESA POSSIBILE NEI PROSSIMI GIORNI”. RIPRENDONO I COLLOQUI A DOHA

Nel frattempo sono ripresi in queste ore a Doha, in Qatar, i colloqui per cercare l’accordo finale sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi in cambio di detenuti palestinesi: dopo il round di negoziati a Parigi (il secondo, visto il fallimento del primo avvenuto a gennaio) Israele non ha “chiuso la porta”, dicendosi disposto di scendere a compromessi e inviando una propria delegazione in Qatar per discutere da domani dell’ipotesi tregua. «Esperti provenienti da Egitto, Qatar, Stati Uniti, Israele e Hamas partecipano ai colloqui a Doha», spiega l’emittente televisiva statale egiziana al-Qahira al-Ihbariya citando proprie fonti. Ricordiamo che questi negoziati in Qatar e i prossimi al Cairo rientrano nel processo iniziato a Parigi il 23-24 febbraio, quello che si spera possa essere il tavolo decisivo quantomeno per una pace momentanea.

I colloqui a Parigi tra Usa, Israele, Egitto e Qatar, «hanno trovato un terreno di intesa su un possibile accordo per il rilascio degli ostaggi e per una nuova tregua»: lo ha detto il consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan in un’intervista alla Cnn, «Si lavora e speriamo che nei prossimi giorni si possa arrivare al punto di un accordo finale». Allo stesso tempo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden non sarebbe stato informato del piano israeliano per le operazioni militari a Rafah, «ma crede che la vita dei civili debba essere protetta», lo ha detto ancora Sullivan ma alla NBC. «Non crediamo che un’operazione, una grande operazione militare, dovrebbe procedere a Rafah a meno che non ci sia un piano chiaro ed eseguibile per proteggere quei civili, portarli in salvo nutrirli, vestirli e ospitarli», conclude il consigliere alla sicurezza Usa.