La scomparsa di Saeb Erekat a causa del Covid, già braccio destro di Arafat prima e di Abbas dopo, interlocutore di ogni dialogo di pace fra palestinesi, israeliani e Stati Uniti ha lasciato indubbiamente un grande vuoto. Nello stesso tempo, però, l’arrivo imminente di Joe Biden alla Casa Bianca sta portando Israele, evidentemente preoccupata dei possibili forti cambiamenti nella politica estera americana, a spingere per riaprire negoziati con la leadership palestinese, riprendendo quei negoziati che si sono fermati nel 2014. La sorpresa arriva dalla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese, che si è detta disponibile a riprendere i negoziati. Secondo Filippo Landi, già corrispondente della Rai a Gerusalemme e attualmente inviato di Tg1 Esteri, da noi intervistato, “il motivo di questa apertura palestinese non è tanto nei confronti di Israele, quanto di Biden. Si sa che Biden non intende proseguire la politica di Trump in Medio Oriente. La preoccupazione maggiore da parte di Netanyahu è che questo cambiamento possa spingersi fino al ritorno della politica di apertura e di dialogo di Obama nei confronti dell’Iran, presidente il cui vice – va ricordato – era proprio Joe Biden”.



Da cosa dipende questa improvvisa apertura dell’Autorità nazionale palestinese alla ripresa di quei dialoghi interrotti dal 2014? È in qualche modo legata con la scomparsa di Erekat?

La morte di Erekat ritengo sia una triste coincidenza con l’elezione di Biden. L’aver accettato di riprendere le trattative non è rivolto tanto agli israeliani, quanto allo stesso Biden. È un ramoscello d’ulivo rivolto a lui, che tutti sanno essere buon amico di Israele, ma certo non è Trump. Chi ha sentito il suo discorso alla riunione dell’associazione americana pro Israele prima delle elezioni ricorda che Biden prese le distanze dalla politica di Trump.



I palestinesi contano molto su di lui? A ragione?

La memoria va a quel discorso e adesso si rivolgono a lui che sta mettendo a punto le sue scelte anche delle persone che dovranno riprendere le fila della vicenda mediorientale.

La stampa israeliana scrive che si stanno velocizzando gli insediamenti dei coloni israeliani nei territori palestinesi per paura che Biden li possa interrompere. Ha davvero questa possibilità di intervenire nelle questioni interne israeliane?

La possibilità per tutte le amministrazioni americane di intervenire sulla politica israeliana c’è sempre stata. Altro discorso è se vengono utilizzate o meno forme di pressione classiche come sono quelle degli aiuti economici e militari, che potrebbero se non essere fermate, certamente rallentate. La preoccupazione maggiore del governo Netanyahu, non della politica israeliana, ma proprio del governo, è che possa esserci un cambio di rotta nei confronti di quello che Israele considera il suo vero nemico: l’Iran.



Questo potrebbe accadere? Con quali conseguenze?

Trump, pur avendo evitato ogni conflitto armato, si era spinto a cancellare gli accordi che Obama aveva sponsorizzato, e non dimentichiamo che allora il suo vicepresidente era Biden. La preoccupazione è che l’Iran non sia più il nemico da isolare come ai tempi di Trump, ma torni a essere un interlocutore nella regione e che l’accordo sul nucleare che Obama aveva fatto torni a essere operativo.

L’Arabia Saudita, negli ultimi tempi molto legata a Israele, sottolinea che anche per loro l’Iran è il principale nemico, ma ribadisce anche che continuerà a supportare la causa palestinese. Un ritorno alla vecchia politica?

In qualche modo i sauditi ripercorrono l’atteggiamento di Netanyahu nei confronti del predecessore democratico di Biden, Obama. Il nostro nemico è l’Iran, dicono, e chiediamo su questo l’appoggio totale degli americani, mentre sul fronte palestinese siamo interessati a che si raggiunga una intesa di lungo respiro. Netanyahu con Obama, vista l’opposizione dello stesso Obama alle sue politiche contro l’Iran, ebbe mano libera nei territori palestinesi con l’espansione degli insediamenti. In questi anni gli interessi palestinesi sono merce di scambio nel grande gioco dove protagonisti sono Iran, Arabia Saudita e Israele.

Biden potrebbe spingersi fino a rimettere in discussione il piano di pace di Trump e soprattutto a intervenire sulla questione di Gerusalemme capitale?

Direi di no, non credo che Biden torni indietro su questo terreno. Quello che potrebbe fare, ed è questo il senso dell’annuncio dei palestinesi sulla loro disponibilità a una trattativa con Israele, è portare Netanyahu al tavolo di una trattativa su cui lui ha sempre detto di essere disponibile, ma nel contempo con le proprie azioni ha sempre creato le condizioni perché questo tavolo non si realizzasse. Biden ha il potere di mettere veramente israeliani e palestinesi a discutere sul futuro della regione.

(Paolo Vites)