Mentre Trump festeggiava con i rappresentanti di Emirati Arabi, Israele e Bahrein un trattato inedito e che si pensava impossibile da raggiungere, Hamas, nonostante l’inimicizia decennale, ha proposto al presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen un’alleanza nella lotta per costruire uno Stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale e per respingere ogni accordo unilaterale che abbia come obiettivo di liquidare i diritti del popolo palestinese. La proposta potrebbe portare a una nuova intifada, o anche peggio, considerato come la Palestina è stata messa in un angolo. C’è uno stravolgimento in atto nel mondo arabo e israeliano, spiega in questa intervista Filippo Landi, ex corrispondente della Rai a Gerusalemme e inviato di Tg1 Esteri, che però va analizzato in profondità: “Non sappiamo quale sarà la reazione dei popoli arabi a questa intesa voluta da Trump e alla quale potrebbe aderire anche l’Arabia Saudita, paese nel quale la gente già protesta. Ma soprattutto bisogna capire che più che un accordo di pace tra Israele e paesi arabi, siamo davanti alla formazione di una alleanza anti-sciita e anti-iraniana che Israele ha saputo abilmente cogliere”.



Dopo il trattato firmato nei giorni scorsi, cosa succede nei territori palestinesi? Si parla di una richiesta di Hamas a Abu Mazen di allearsi. Le risulta?

Quello che sta accadendo pone problemi enormi ai palestinesi e alla politica palestinese. Sino a oggi, e probabilmente sarà così anche in seguito, la Palestina si trova divisa fra Hamas e Abu Mazen. Sicuramente c’è un tentativo di Hamas per convincerlo a realizzare quello che più volte si è tentato di fare: un governo di unità nazionale.



Perché non si è mai giunti a questo accordo?

A rendere impossibile un governo simile sono state finora le visioni diverse sullo Stato e sulle prospettive politiche. Ed è difficile si possa trovare un accordo in questo momento. Nulla toglie che, se la situazione dovesse aggravarsi con nuovi accordi di altri paesi arabi, in questo caso i margini per una svolta verso un’intesa politica potranno emergere. Con tutte le conseguenze del caso.

Trump ha fatto capire che altri paesi arabi si uniranno al trattato, ad esempio l’Arabia Saudita, anche se la popolazione non sembra contenta. È così?



È una domanda molto opportuna. In questi giorni ci si è chiesti quali saranno le conseguenze sui palestinesi, in realtà c’è una seconda domanda da farsi: quali saranno all’interno dei paesi le conseguenze di questa strategia che ha ribaltato ciò che fu deciso a Beirut nel marzo 2002 durante una storica seduta della Lega Araba?

Cosa venne deciso?

Proprio l’Arabia Saudita guidò i paesi arabi a un piano di pace che doveva realizzarsi con il pieno riconoscimento di Israele in cambio della restituzione dei Territori occupati e di una soluzione per i profughi palestinesi. A distanza di 18 anni sembra che a spingere il cambiamento fra paesi arabi e Israele sia proprio l’Arabia Saudita. Questo pone grossi problemi all’interno di tutti i paesi arabi. La ferrea censura saudita non ci permette di conoscere l’entità delle proteste, ma sicuramente è un problema che diverrà sempre più manifesto nei prossimi mesi.

Tornando alla Palestina, ci sono differenze fra Cisgiordania e Gaza?

La situazione è diversa, ma nello stesso tempo è simile. È diversa per le condizioni economiche, migliori in Cisgiordania, peggiori a Gaza, ma c’è un problema politico che unisce le due aree. Da un certo punto di vista quello che non si realizza a Gaza non si realizza a Ramallah.

Sembra che a sostenere i palestinesi nel mondo arabo sia rimasto solo l’Iran, è vero?

L’Iran e il Qatar rappresentano i due Stati che sostengono politicamente i palestinesi, il Qatar anche finanziariamente. Si sta realizzando più che una intesa tra Israele e paesi arabi: è una intesa per creare uno schieramento anti-sciita e anti-Iran. In questo senso Israele è riuscita dal punto di vista diplomatico a cogliere una preoccupazione che c’è nelle monarchie arabe nei confronti della pressione dell’Iran, altrimenti non si spiegherebbe questo atteggiamento dei paesi arabi e non si spiegherebbe l’adesione a questi accordi sotto la benedizione di Trump.

Perché no Trump?

Trump rappresenta per le popolazioni arabe e anche per una parte dei governanti arabi un politico americano di cui è bene diffidare. Ma questa differenza, per scelta opportunistica, ora è stata messa da parte.

(Paolo Vites)