L’8 ottobre del 2023, a seguito della dichiarazione di stato di guerra da parte del Consiglio di sicurezza israeliano, si è assistito alla rapida diffusione sui social media di immagini e video riguardanti il massacro compiuto il giorno prima da Hamas. Queste riprese, condivise sia da cittadini israeliani che da terroristi, hanno subito assunto un ruolo cruciale nella narrazione del conflitto nascente, scatenando un’ondata di reazioni a livello mondiale. La pratica di documentare atti di terrore attraverso foto e video, utilizzati come mezzi di prova o “trofei visivi”, è comune tra i terroristi, che li diffondono per rafforzare il senso di appartenenza alla loro causa e incitare ad azioni simili. In questo caso specifico, i membri di Hamas non hanno solo filmato le proprie atrocità ma hanno anche usato i dispositivi mobili delle vittime per inviare queste terribili testimonianze alle famiglie, un’azione che ha portato a una rapida diffusione del negazionismo, ovvero la negazione della realtà del massacro, su internet e durante le manifestazioni, con accuse verso le immagini di essere false o manipolate dalla propaganda.
Il dibattito che ne è seguito ha visto da una parte chi chiedeva la liberazione degli ostaggi e denunciava l’antisemitismo, e dall’altra chi esprimeva sostegno alla causa palestinese, talvolta confondendo la difesa dei diritti dei palestinesi con il supporto a organizzazioni come il Hamas, riconosciuta come organizzazione terrorista dall’Unione Europea dal 2001. La situazione è stata ulteriormente complicata dalla diffusione di propaganda islamista sui social media, rendendo più ardua la distinzione tra la lotta per i diritti dei palestinesi e l’appoggio a gruppi estremisti.
Per contrastare il fenomeno del negazionismo e sensibilizzare sull’orrore del massacro, Israele ha intrapreso una campagna di comunicazione che ha incluso la creazione di un sito web dedicato all’archiviazione di video e immagini e la promozione della loro diffusione attraverso account ufficiali. Un film, che racchiude le testimonianze visive del massacro, è stato mostrato in vari contesti internazionali, con l’intento di informare e testimoniare la realtà dei fatti.
La decisione di rendere pubbliche queste immagini solleva interrogativi etici e filosofici significativi, specialmente in un’era caratterizzata dalla sovrabbondanza di contenuti visivi e dalla facilità con cui questi possono essere condivisi, esponendo un pubblico vasto, inclusi minori e persone sensibili, a contenuti potenzialmente traumatizzanti. Questo scenario richiama alla memoria il dibattito sull’invisibilità della Shoah e su come trasmettere la memoria di eventi storici di tale magnitudine. Il noto documentario Shoah (1985) di Claude Lanzmann emerge come esempio emblematico di un approccio che privilegia la testimonianza orale e la narrazione per affrontare l’indicibile, senza ricorrere a immagini d’archivio.
Nell’affrontare le tragedie contemporanee, è cruciale trovare un equilibrio tra il bisogno di testimoniare e informare e la necessità di proteggere la dignità e la sensibilità del pubblico, evitando al contempo che le immagini diventino strumenti di propaganda o oggetto di voyeurismo. Inoltre, la diffusione di queste testimonianze visive si scontra inevitabilmente con il fenomeno del negazionismo, che mette in discussione la veridicità dei documenti indipendentemente dalle prove presentate, complicando ulteriormente il processo di verità e memoria. La sfida consiste dunque nel promuovere una comprensione collettiva degli eventi, sottolineando l’importanza della verifica delle fonti e della lotta contro la disinformazione, per onorare la memoria delle vittime e preservare la verità storica.
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