Pochi giorni fa, la stampa internazionale ha riportato la dichiarazione del segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che annunciava il riconoscimento della liceità degli insediamenti israeliani nei territori occupati della Cisgiordania. Il Segretario di Stato non sembra aver offerto argomenti giuridici per questa decisione, ma ha solo indicato che questo riconoscimento agevolerebbe il raggiungimento della pace.



La dichiarazione segue la decisione adottata qualche tempo fa dagli Stati Uniti di trasferire la capitale dello Stato israeliano a Gerusalemme, riconoscendo, de facto, l’annessione di Gerusalemme Est da parte di Israele e appare, quindi, parte della medesima strategia favorevole all’espansione dei confini israeliani e alla negazione dell’idea stessa dei due Stati.



Non è chiaro come tale strategia possa favorire la pace. È invece chiarissimo che essa non favorisce l’affermazione del diritto internazionale, che, di per se stesso, contribuirebbe notevolmente, se non alla pace, per lo meno a stemperare la tensione altissima nell’area probabilmente più calda al mondo.

Una pura coincidenza ha voluto che, pochi giorni prima della dichiarazione di Pompeo, la Corte di giustizia dell’Unione Europea abbia adottato una sentenza in materia di rapporti commerciali con Israele la quale ha preso la direzione opposta a quella imboccata dagli Stati Uniti. Nella sentenza C-363/2018, la Corte di giustizia ha indicato che i prodotti provenienti da insediamenti israeliani nei territori occupati debbano recare nell’etichetta non solo la provenienza da questi territori, ma indicare altresì anche la provenienza da insediamenti israeliani in questi territori.



Nel motivare tale esigenza, la Corte di giustizia ha dato, indirettamente, una vera e propria lezione di diritto. Essa ha indicato, innanzitutto, come Israele, come potenza occupante, non possa, ai sensi del diritto internazionale, commerciare questi prodotti come provenienti da Israele. Inoltre la Corte ha aggiunto come l’esigenza del rispetto del diritto internazionale imponga obblighi aggiuntivi. Dato che gli insediamenti violano il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e che sono parte di una politica di trasferimento forzato della popolazione palestinese, l’Unione ha il dovere di indicare che un prodotto, ancorché proveniente dai territori occupati, sia stato prodotto in un insediamento israeliano, sì da consentire al consumatore la scelta se acquistarlo, contribuendo indirettamente a tale violazione, o astenersi.

Nei giorni successivi all’adozione di tale sentenza, le autorità israeliane hanno protestato contro questa sentenza indicando che essa non aiuta il processo di pace.

Letti in controluce, i due eventi offrono visioni antitetiche su ciò che possa aiutare a far progredire il processo di pace.

Verosimilmente, ciò dipende dal tipo di pace che hanno rispettivamente in mente gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Mentre, però, ci possono essere tante forme diverse di pace, una pax israeliana o una pax palestinese o altre forme ancora, quel che è importante è che la pace rispetti il diritto internazionale. E la sentenza della Corte di giustizia va certamente in questa direzione.