Mentre l’attenzione dei media europei è concentrata sulle elezioni per il Parlamento europeo, vale la pena di dare comunque un’occhiata a un evento attualmente alla ribalta dei media israeliani: una lettera inviata a Benjamin Netanyahu sull’irrisolta questione palestinese. La lettera è firmata da più di duecento membri di Commanders for Israel’s Security, un movimento che raggruppa ex generali e alti funzionari dell’esercito, dei servizi di sicurezza e della polizia. I firmatari invitano Netanyahu a sospendere ogni progetto di annessione dei territori attualmente sotto la gestione dell’Autorità Palestinese, che porterebbe alla cancellazione della soluzione dei ”due Stati” per sostituirla con un unico Stato binazionale.



L’iniziativa è stata provocata da dichiarazioni di Netanyahu, prima delle recenti elezioni, in cui il premier affermava che non avrebbe accettato alcuna divisione di Gerusalemme, né lo smantellamento di nessun insediamento in Cisgiordania, territorio che sarebbe comunque rimasto sotto la sovranità israeliana. Una pietra tombale per la costituzione di uno Stato palestinese, che rappresenta una concessione ai partiti religiosi e di estrema destra necessari per la formazione del suo quinto governo. Una questione questa che si sta rivelando difficoltosa e che, secondo alcune voci, potrebbe portare Netanyahu a chiedere nuove elezioni.



La lettera evidenzia i pericoli insiti nella posizione del premier e, paradossalmente, proprio per la sicurezza di Israele, cioè il motivo con il quale Netanyahu giustifica la sua posizione. L’annessione della Cisgiordania, anche parziale, senza un ampio accordo politico con le altre parti interessate porterebbe alla fine di ogni processo di pace, causando reazioni negative nei Paesi della regione e a livello internazionale. Senza contare la pesante reazione dei palestinesi, sia dei Territori che di Gaza, che metterebbe, appunto, a repentaglio la sicurezza esterna di Israele. Inoltre, uno Stato binazionale, difficilmente gestibile, metterebbe maggiormente a rischio la sicurezza anche all’interno dei suoi confini. Si dovrebbero poi affrontare non indifferenti problemi economici e sociali derivanti dalla necessità di integrare quasi tre milioni di palestinesi.



La posizione sostenuta dalla destra e dai partiti ultraortodossi significherebbe la fine della visione sionista “di uno Stato democratico, di una solida maggioranza ebraica, un focolare nazionale per tutti gli ebrei, con diritti pieni e uguali per tutti i cittadini di Israele, nello spirito della Dichiarazione di Indipendenza”. È quanto si legge sul sito di Commanders for Israel’s Security, che indica la possibilità di uno Stato che non rinnega la propria identità nazionale e religiosa, mantenendo al contempo una piena uguaglianza di diritti per tutti i suoi cittadini. Una chiara dissociazione dalla progressiva confessionalizzazione dello Stato che sembra aver caratterizzato negli ultimi tempi la politica israeliana.

La reazione di Netanyahu e dei suoi alleati è stata piuttosto dura, con l’accusa ai firmatari di voler danneggiare il Paese mediante il loro sostegno all’ipotesi dei due Stati. “Bibi” ha anche ricordato che i Commanders si erano opposti, con una precedente lettera, ai suoi tentativi di convincere il Congresso degli Stati Uniti, nel 2015, a non approvare il trattato con l’Iran sul nucleare.

Viene così messo in evidenza quello che è, forse, il vero nodo della questione: l’atteggiamento della Casa Bianca di Trump, diverso da quello di Obama, nei confronti dell’Iran e, di conseguenza, nei confronti di Israele. È difficile essere entusiasti della politica estera di Obama, ma è altrettanto difficile capire quali sono i veri motivi della posizione di Trump, tanto azzardata da far realmente temere uno scontro armato con l’Iran. Ciò che colpisce è che questa ipotesi pare preoccupare soprattutto i militari: abbiamo visto la posizione dei veterani israeliani, ma estese perplessità sembrano essere presenti tra i militari statunitensi.

Le conseguenze di una guerra Usa-Iran sarebbero particolarmente esiziali per l’Europa: possiamo aspettarci che, accantonata la retorica elettorale, l’Unione Europea, o almeno il neoeletto Parlamento, si facciano parte attiva per evitare questa incombente tragedia?