Come un uccello che vola via, l’ultima sentenza della Corte suprema israeliana si è posata per un momento sul dibattito politico israeliano ed è poi sparita velocemente, oltre l’orizzonte. Altre decisioni, prima fra tutte l’annessione di oltre un terzo dei territori palestinesi in Cisgiordania, incombono.
Tutti, in Israele, sono in attesa di vedere le nuove mappe dello Stato di Israele, che in queste ore cartografi, politici e militari stanno mettendo a punto. Questione di giorni, se non addirittura di ore. In ogni caso non si andrà oltre la data del 1° luglio.
Quel giorno si avvierà l’implementazione “responsabile” (questo il nuovo aggettivo usato ieri dal ministro degli Esteri israeliano, fresco di nomina, Gabi Ashkenazi) del Piano per portare la sovranità israeliana su oltre un terzo dei territori palestinesi.
Il vero architetto del Piano, in ogni caso, tutti lo sanno, è il premier Netanyahu. Sulla sua scrivania, poco meno di 48 ore fa, è giunta copia della sentenza della Corte suprema. Un inciampo in più ai suoi progetti, condivisi ora anche dal neo ministro della Difesa ed ex capo dell’opposizione Benny Gantz, ma certo non insormontabile.
A sollevare il problema davanti alla Corte suprema, alcuni esponenti di un gruppo pacifista israeliano. È “costituzionale”, cioè rispetta i principi fondamentali delle leggi israeliane, la legge approvata dalla Knesset nel 2017 che considera “legali” gli insediamenti costruiti in Samaria e Giudea (ovvero la Cisgiordania) su terreni di privati cittadini palestinesi? Questa la domanda, che aveva in oggetto circa 4mila edifici costruiti negli ultimi anni. Una piccola parte di quelli che ormai ospitano oltre 500mila coloni israeliani, senza contare quelli insediatisi nella parte araba di Gerusalemme.
La risposta, non scontata, è stata a favore dei ricorrenti, oppositori della legge. Quindi, secondo la Corte suprema, quegli edifici sono illegali. Problema legale e problema politico.
Tuttavia, la politica israeliana e statunitense, che hanno elaborato insieme il Piano del secolo, prevede un salto di qualità. È l’estensione della sovranità israeliana su oltre un terzo dei territori palestinesi. Un altro terzo potrebbe poi rientrare in una possibile “fascia di sicurezza” a tutela dei nuovi confini israeliani. Sui territori in via di annessione, la data iniziale è il 1° luglio, già vivono centinaia di migliaia di coloni israeliani. Insomma, questa sembra essere agli occhi degli israeliani la vera questione più importante. La sentenza della Corte suprema è stata così riconsiderata e forse è giunta anche in ritardo dal punto di vista politico.
In terra israeliana, gli oppositori all’annessione hanno ottenuto una vittoria che assai difficilmente potrà ritardare o modificare il Piano del secolo e i suoi decreti attuativi.
In terra palestinese e araba, lo sgomento davanti a quanto incombe alimenta la tentazione di proclamare uno Stato Palestinese, con capitale Gerusalemme, estremo tentativo di porre la comunità internazionale davanti a un dilemma ormai evidente: accettare l’annessione israeliana o riconoscere uno Stato palestinese reale, e non più ipotetico.