Se Israele non vuole rimanere isolato, e non vuole essere accusato di genocidio, potrebbe essere indotto, almeno in parte, e sia pure non immediatamente, a eseguire l’ordinanza della Corte internazionale di giustizia, cambiando le modalità di conduzione della sua operazione conto Hamas. Riassume così Pasquale De Senaordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e presidente della SIDI (Società italiana di diritto internazionale e di diritto dell’Ue) le conseguenze dell’ordinanza con la quale ieri la Corte internazionale di giustizia si è pronunciata dopo l’azione contro Israele per genocidio da parte del Sudafrica.



Il rischio di genocidio c’è, secondo i giudici, e Israele deve porvi rimedio subito, dando conto entro un mese delle misure adottate. Ieri i giudici dell’Aia hanno deciso le misure provvisorie, attese dopo la seduta dell’11 gennaio scorso. La Corte ha chiesto a Israele di preservare le prove del presunto genocidio a Gaza, di riferire rapidamente alla Corte, di adottare misure per alleviare la tragedia umanitaria dei palestinesi a Gaza, e la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Veementi e indignate le reazioni di parte israeliana.



Secondo De Sena, la decisone della Corte può determinare importanti conseguenze politiche, tali da indurre, forse, Israele a rispettare almeno in parte le “indicazioni” (questo il termine tecnico) contenute nel dispositivo.

La sua prima impressione, professore?

Buona. Per varie ragioni. Ne sottolineerei tre. La prima è che la Corte ha dimostrato di non essere mera espressione degli orientamenti politici di una parte del mondo, affermando la sua terzietà rispetto alle sponde contrapposte, determinate dalle tremende fratture in atto nella comunità internazionale.

La seconda?

La presidente, Joan Donoghue, statunitense, ha votato a favore di tutte le misure. Conosciamo il ruolo della politica americana in quanto sta avvenendo dal 7 ottobre. Dunque è un segnale serio.



Il terzo motivo?

L’Assemblea generale, intervenuta due volte con risoluzioni adottate ad ampia maggioranza, il Segretario generale dell’ONU, le agenzie e istituzioni delle Nazioni Unite, intervenute in molteplici occasioni a denunciare la catastrofe umanitaria di Gaza, non sono rimaste prive di ascolto da parte della Corte. Soprattutto il Segretario generale e le suddette istituzioni non solo hanno contribuito significativamente alla ricostruzione dei fatti, ma hanno anche contribuito a creare il contesto “ermeneutico” in cui si è inserita la decisione odierna.

Entriamo nelle argomentazioni. Qual è a suo avviso il punto più rilevante?

La plausibilità delle contestazioni rivolte dal Sudafrica a Israele. È il punto ovviamente più approfondito. Gli argomenti sono tutti in linea con la giurisprudenza precedente. Non ci sono stati strappi.

L’accusa di genocidio è un macigno anche simbolico sulle scelte intraprese dal governo Netanyahu. Dall’ordinanza che cosa si può ricavare?

La Corte dice chiaramente che c’è il serio rischio che un genocidio sia in atto o si verifichi. E ordina ad Israele di evitarlo. Attenzione: l’ordinanza contiene solo misure provvisorie, non l’accertamento definitivo delle contestazioni del Sudafrica. Per adottare tali misure doveva dire se il rischio di genocidio sussiste. E lo ha fatto.

Non c’è la misura cardine chiesta dal Sudafrica, la cessazione dei combattimenti. “L’Aia non ci priva del diritto di autodifesa”, ha dichiarato Netanyahu.

A mio avviso è proprio qui che sta – paradossalmente – il valore aggiunto della decisione. È vero: la cessazione del fuoco non c’è, ma ci sono tutte le altre misure richieste. E, in particolare, c’è la richiesta a Israele di fare tutto quanto in suo potere per impedire che il rischio di genocidio si traduca in atto. Non è un fatto negativo che la Corte si sia limitata a questo. Anzi.

Che cosa vuole dire?

Immaginiamoci quale impatto avrebbe avuto, nel quadro politico e militare attuale, ordinare ad Israele di cessare le ostilità. Immediatamente il Governo avrebbe lamentato – a torto a mio avviso – il diniego del diritto del proprio Paese a difendersi.

Dunque Netanyahu è in errore.

Be’, la Corte non si è pronunciata per nulla sul diritto all’autodifesa di Israele; si è attenuta esclusivamente alla Convenzione sul genocidio e ha statuito che Israele deve adottare tutte e misure necessarie ad evitarlo. Ora chiediamoci: come può avvenire questo, se non cambiando radicalmente le modalità di conduzione delle ostilità, e cioè, in sostanza, cessandole, e trasformando – come ha chiesto il Sudafrica – l’operazione di guerra condotta da Israele in una qualcosa di diverso?

In che cosa, scusi?

In una operazione mirata, volta a stanare i vertici e i miliziani di Hamas e a distruggerne sì le infrastrutture militari, ma senza prendere di mira, anzi salvaguardando sul serio la popolazione civile della Striscia. Mi pare che il Sudafrica lo dica chiaramente.

Secondo lei Israele darà esecuzione a questo obbligo della Corte?

Non lo ritengo molto probabile. Perlomeno nell’immediato, Israele non eseguirà l’ordinanza, ma, allo stesso tempo, non potrà dire – credibilmente – che qualcuno ha negato allo Stato ebraico il diritto di difendersi. Da ora in poi, Israele – che è parte, ricordiamolo, della Convenzione sul genocidio ed è tenuto a rispettare le decisioni della Corte – dovrà assumersi la piena responsabilità politica e giuridica di quanto farà. In un senso o nell’altro.

Per questo in Israele le reazioni sono state molto forti, molto negative.

Certo. La Corte – lo ripeto – è stata abile a non ordinare in modo esplicito la cessazione delle ostilità. Ma ribadisco: come si fa, in concreto, ad attuare le misure ordinate, se non cambiando completamente il modo di condurre le ostilità? Io credo che ciò sia stato compreso a Tel Aviv. Si può allora dire che la Corte, ben consapevole delle scarse possibilità di attuazione delle sue misure, sia riuscita perlomeno a mettere Israele… con le spalle al muro, in modo, peraltro, giuridicamente corretto.

Quindi il fatto di non avere ordinato espressamente di cessare le ostilità…

…se per un verso spiega e rende del tutto comprensibili le perplessità dei palestinesi sul campo, viste le loro condizioni tragiche, per un altro verso non mi pare criticabile.

Sappiamo che le misure sono giuridicamente obbligatorie, e che Israele deve eseguirle. Ma se non lo farà, che cosa resta dell’ordinanza?

In realtà, al di là della portata giuridica della decisione, c’è forse qualche possibilità che Israele sia indotto a eseguirla, perlomeno in parte, proprio per la sua portata… politica, attestata anche dall’accoglienza positiva da parte di molti Stati. Insomma, questa circostanza potrebbe forse indurre Israele a recedere, magari in maniera parziale, larvata e non subito, dalla dichiarata volontà di non dare esecuzione alle misure.

Lo crede possibile?

Guardi: in aggiunta alle prese di posizione dell’Assemblea generale e di moltissime istituzioni ONU, a partire dal Segretario generale, sulle gravi irregolarità dei comportamenti di Israele a Gaza, ora c’è anche una “sanzione” giudiziaria, sia pure di natura cautelare. Inoltre, gli Stati terzi che aiutano militarmente Israele, dinanzi a un simile verdetto potrebbero addirittura rischiare di incorrere in complicità in genocidio; e questo potrebbe indurli a prendere le distanze. La stessa opinione pubblica internazionale, largamente contraria alle modalità israeliane di conduzione delle ostilità, risulta rinforzata da tale decisione. Non si dimentichi neppure l’orientamento del giudice ad-hoc israeliano Aharon Barak, il quale ha addirittura votato a favore delle misure contro l’incitamento pubblico al genocidio, ammettendo che c’è stato, e che rischia di verificarsi ancora, nonché a favore delle misure umanitarie. Insomma, la pressione è forte. Vediamo.

(Federico Ferraù)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI