Israele è disposto a un accordo con Hamas, ma solo sugli ostaggi, prevedendo una tregua. Per il resto si vedrà. Per questo, ieri Hamas ha respinto la proposta di Doha, ricacciando in alto mare il negoziato. Intanto, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato del TG1 Esteri, Netanyahu sta recuperando nei sondaggi, sfruttando il vuoto lasciato da Gantz. Anche la parte laica del Paese, che si era ribellata alla riforma della giustizia che dava pieni poteri al governo, ora non sembra più in grado di resistere alla diffusione delle idee più radicali, quelle per cui, ad esempio, bisogna occupare la Cisgiordania togliendo lo spazio a un eventuale Stato palestinese.



Sono ricominciate le manifestazioni dei familiari per chiedere un accordo sugli ostaggi. Ma Ben Gvir e Smotrich, e quindi il governo, possono accettare un’intesa?

Le trattative in corso a Doha e poi al Cairo sembrano essere diventate un palcoscenico sul quale i politici salgono per intervenire sulla guerra a Gaza. L’ultimo a parlare è stato il ministro dell’Energia Eli Cohen, secondo il quale Israele manterrà il controllo su Gaza e la sua presenza a Sud, sul corridoio di Philadelphia, tra la parte palestinese di Gaza e il confine egiziano. Frasi di questo tipo fanno capire come tutti nel governo Netanyahu si sentano in dovere di esprimere la propria posizione. L’obiettivo di una larga parte della politica, non solo governativa, è il raggiungimento del primo passo di un eventuale accordo, quello relativo allo scambio tra gli ostaggi ancora in mano ad Hamas e un numero consistente di prigionieri palestinesi, in larga parte da trasferire in un terzo Paese, non a Gaza o in Cisgiordania. Sui successivi punti c’è un buio ancora fitto.



Hamas ieri sera ha respinto la proposta, perché?

Hamas osserva che le ultime proposte americane, sostenute da Blinken, non coincidono con il piano iniziale di Biden: non prevedono il ritiro dell’esercito da Gaza, né tantomeno dal Sud della Striscia. Gli americani si sono spostati su posizioni più vicine a Netanyahu. C’è da chiedersi da dove nasca l’ottimismo statunitense sul negoziato. Potrebbe essere relativo solo al primo punto, quello degli ostaggi, anche se è calato un silenzio sulla liberazione di Marwan Barghouti, uno dei leader storici di Fatah.

Ma quali sono, sulle trattative, le posizioni dei partiti che appoggiano Netanyahu?



Coloro che erano contro ogni accordo sul cessate il fuoco hanno un atteggiamento diverso: Smotrich ora sembra essere sulle posizioni di Netanyahu, lasciando Ben Gvir su posizioni più estreme. Questa parte della destra israeliana non vuole essere accusata del fallimento della trattativa, tantomeno alla vigilia della Convention democratica negli USA. Un punto che trova uniti Netanyahu e la destra è che si debba fare il possibile per andare incontro alle richieste americane di un accordo che preveda un sostanzioso scambio di prigionieri e quindi di una tregua che potrebbe durare qualche settimana. Tutto il resto, come il ritiro dei soldati e l’allentamento del blocco degli aiuti umanitari, dovrebbe essere discusso successivamente. Questo chiedono americani e israeliani. Hamas ha avuto buon gioco a dire che differisce dal piano che Biden aveva inviato il 2 luglio.

Che società israeliana vediamo ora? Le contraddizioni interne si sono acuite con la guerra?

La mancanza di fiducia in Netanyahu si esprime con il ritorno delle manifestazioni dei familiari degli ostaggi. Ma la maggioranza dell’elettorato, quello che aveva votato per il governo di centrodestra, sostiene Netanyahu là dove pensa di eliminare la presenza dei palestinesi a Gaza e ridurre drasticamente la presenza di militari palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Un elemento che, in caso di elezioni anticipate, potrebbe portare Netanyahu a un nuovo successo. Il Paese ha accentuato una divisione interna, con una preponderanza di elettorato che pensa che la soluzione militare della questione palestinese sia possibile.

Ma fino a qualche mese fa Netanyahu era in ribasso nei sondaggi a vantaggio di Gantz. Cosa è cambiato?

Questo è il punto: la scomparsa di Gantz. Ha dimostrato, con i suoi ondeggiamenti (entrando nel governo di unità nazionale, chiedendo elezioni anticipate e poi dimettendosi), un’incapacità politica a rappresentare la parte dell’opposizione che puntava a diventare maggioranza.

Il recupero nei sondaggi di Netanyahu è legato al vuoto lasciato da Gantz?

Sì. Inoltre, il sostegno che gli USA, repubblicani e democratici, hanno dato a Netanyahu dopo la sua visita a Washington, ha rafforzato l’idea che una soluzione militare sia a portata di mano. Anche l’ultimo enorme invio di armi da parte americana ha fatto capire che gli israeliani sono coperti. Il silenzio dell’UE ha fatto il resto. Non c’è stato il temuto blocco dell’invio di armi e munizioni anche da parte europea, che gli israeliani temevano. Tutti i contratti di vendita di armi e munizioni in vigore prima del 7 ottobre sono stati mantenuti. Alcuni Stati hanno definito altri contratti. Infine, Israele ha ucciso Haniyeh a Teheran senza venire isolato politicamente nel fronte occidentale: anche questo ha aiutato Netanyahu a risalire nei sondaggi.

Le posizioni più radicali, anche religiose, sembrano stiano diventando posizioni di molti: spaccheranno il Paese?

Smotrich, di fronte al pogrom in un villaggio palestinese, dove sono state bruciate le case e un palestinese è stato ucciso, ha detto: “È successo vicino all’insediamento dove abito, ma il mio è in un insediamento legale e queste azioni sono atti criminali”. Sa di aver spinto l’opinione pubblica a sostenere l’espansione delle colonie, ma non vuole che atti violenti sporchino questo processo politico, che punta alla loro estensione, rendendo lo Stato palestinese un’entità residuale. Contemporaneamente, Ben Gvir con 3mila coloni ha riaffermato la presenza ebraica sulla Spianata delle Moschee, che in prospettiva può diventare esclusiva.

Tutto ciò può dividere ulteriormente il Paese?

La destra cerca di coinvolgere la maggioranza dell’opinione pubblica per uscire dal proprio isolamento, e questo pone un’enorme domanda sull’atteggiamento dell’Israele laica, che per un anno si era battuta contro la riforma della giustizia, mostrando una volontà di resistere a una deriva fondamentalista. Questa resistenza si vede molto meno.

(Paolo Rossetti)

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