Aveva 41 anni, la donna che ieri ha fatto toccare ad Israele il numero di 113 vittime a causa del coronavirus. Una delle vittime più giovani, hanno subito sottolineato, allarmati, i mezzi di informazione. Una vittima relativamente giovane, ma con problemi di salute antecedenti, si sono affrettati a dire i medici dell’ospedale dove la donna è morta.



Come da noi, è il bollettino medico giornaliero la notizia più attesa in Israele, che ieri comunicava: 113 morti, 11.235 positivi al test del coronavirus, 181 pazienti in serie condizioni. Per rimanere ai paragoni, anche in Israele, come in Italia o in Spagna, le decisioni del governo sulle chiusure imposte alla cittadinanza si susseguono a scadenza settimanale e talvolta giornaliera.



Ieri il premier Bibi Netanyahu e i suoi ministri hanno deciso per altri giorni di blocco totale, dalle 5 del pomeriggio di oggi alle 6 del pomeriggio di domenica. Obiettivo esplicito: coprire gli ultimi giorni di Pesach, lla Pasqua ebraica, ed anche la festività di Mimouna, una celebrazione diffusissima tra la comunità ebraica che proviene dal Nord Africa. Un blocco per impedire riunioni familiari allargate e gite con bambini e amici nei parchi cittadini o sui lungomare.

C’era anche uno sguardo su quello che sta accadendo “dall’altra parte”: per questo non mancavano notizie, accolte con attenzione, su quello che sta succedendo a Gaza. Da ieri, infatti, sono ripresi i test per accertare i casi di contagio, dopo giorni di totale impotenza per la mancanza di rifornimenti medici. Una carenza che, si sottolineava nei notiziari, anche Israele ha contribuito a colmare permettendo il rapido transito degli aiuti internazionali.



Queste le notizie più attese dagli israeliani e perciò in testa ai notiziari televisivi, radiofonici e del pianeta web. In questo quadro di attese, paura ed incertezza, le parole della politica quasi si smarrivano. Le uniche che hanno fatto breccia sono state quelle di Moshe Ya’alon, l’ex generale e cofondatore del partito di opposizione a Netanyahu, “Blu e Bianco”, andato in frantumi nei giorni scorsi.

Un vero e proprio appello, ed insieme una mano tesa all’ex compagno di partito, Benny Gantz. Dopo giorni di insulti il tono è cambiato, anche se la sostanza della disputa rimane: “Benny, ormai è chiaro che la tua ingenua disponibilità a formare un governo di emergenza ha solo incontrato il cinico interesse di un imputato che cerca di evitare il processo”. Ya’alon ha cercato di utilizzare la situazione di stallo creatasi dopo giorni di trattative tra Gantz e Netanyahu, probabilmente incagliate sulla distribuzione dei ministeri ai diversi partiti. “Non è ancora troppo tardi per fare ammenda di un errore compiuto durante un cammino”. Queste le ultime parole dell’appello, che Gantz non ha voluto commentare.

Mentre lo sguardo degli israeliani volge altrove, i tempi della politica tuttavia incalzano. Il presidente israeliano Rivlin non ha accettato un nuovo rinvio: Gantz, primo ministro incaricato, dovrà dare le sue risposte. Ad un mese e mezzo dalle elezioni, questa settimana porterà così nuova luce sulla possibilità di formare o meno un governo di emergenza, ma con Netanyahu ancora primo ministro. Il coronavirus, però, non può sciogliere tutti i nodi della politica israeliana: dalle grandi strategie alle piccole ambizioni personali.

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