La prima cosa che Israele ha colpito quando è entrata nel Sud del Libano è stata la zona per gli incontri tripartiti, in cui i comandanti dell’Unifil, i rappresentanti libanesi e israeliani si riunivano per definire meglio il confine. Un chiaro segnale che gli israeliani non vogliono più discutere con nessuno. Piaccia o no, questa è la realtà che vediamo. Gli attacchi israeliani all’Unifil, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, vanno considerati guardando ai fatti. Sono state vere e proprie intimidazioni, ma lasciare i caschi blu al loro posto, senza che possano agire per cambiare la situazione, significa solo esporli al fuoco di Israele ed Hezbollah. Un tema che ora, dopo la richiesta di Netanyahu a Guterres di spostare i soldati Onu dal confine libanese, diventa sempre più attuale. L’Onu non può certo fermare Israele: potrebbe riuscirci Hezbollah sul campo, oppure l’America bloccando i rifornimenti di munizioni, che però continuano ad arrivare.



Netanyahu chiede il ritiro dell’Unifil dalle zone di combattimento. Perché è arrivato a presentare direttamente questa istanza a Guterres e all’Onu?

La necessità di Israele è ripristinare le condizioni di sicurezza in Galilea, per farvi tornare 60mila profughi, scappati dopo che Hezbollah ha cominciato a lanciare razzi. Deve riconquistare i territori fra il Litani e il confine, altrimenti la minaccia rimarrebbe. Vuole, insomma, una fascia di sicurezza. La risoluzione Onu del 2006, la 1701, stabilisce che tra il confine e il fiume Litani siano presenti solo caschi blu ed esercito libanese e che le milizie debbano ritirarsi e disarmare, ma tutto ciò non è mai stato attuato: non c’è collina nel Sud del Libano senza tunnel e depositi sotterranei di armi e munizioni di Hezbollah.



La missione Onu, quindi, ha fallito?

La missione Unifil, che è di pattugliare il territorio e di aiutare le forze libanesi, che però sono in sudditanza rispetto a Hezbollah, ha svolto egregiamente i suoi compiti in condizioni di pace, ma non ha più senso in condizioni di guerra. I caschi blu non sono schierati in assetto tattico da combattimento, le basi servono per far uscire pattuglie che monitorano il territorio, non per azioni belliche. Se scoppia la guerra, possono solo restare nei loro bunker sperando che non gli arrivino troppe bombe addosso.

Israele chiede che si ritirino per avere mano libera nelle azioni militari contro Hezbollah?



Israele ha un rapporto conflittuale con le Nazioni Unite, che si è acutizzato dopo la visita di Netanyahu al Palazzo di Vetro, in cui ha accusato l’Onu di antisemitismo. Il rischio, però, è che 10.500 caschi blu, di cui 1.100 italiani, siano esposti alla guerra senza poter agire in alcun modo, e che si decida di tenerli lì per non darla vinta a Israele. Anche Hezbollah ha fatto sapere che la sua priorità è colpire gli israeliani: non andranno tanto per il sottile e non si preoccuperanno se, per farlo, colpiranno pure i caschi blu. Hezbollah ha dichiarato che, in diverse occasioni, le forze israeliane si sono schierate a ridosso delle basi Onu per usarle come scudi contro il loro fuoco. In questo contesto, i caschi blu rischiano la vita.

Andare via per l’Onu non sarebbe uno smacco? Anche la risoluzione 1701 sarebbe definitivamente sconfessata?

La 1701 è una buona risoluzione, ma non è stata applicata. Israele l’ha accettata perché prevedeva il disarmo di Hezbollah, ma non si è proceduto in tal senso, con la scusa che il disarmo doveva farlo l’esercito libanese, che non ne ha la forza. Disarmare le milizie, per esercito libanese e caschi blu, vorrebbe dire combattere contro Hezbollah, e questo non accadrà mai. Lo smacco l’Onu lo ha già subito nel momento in cui la risoluzione sul disarmo è stata disattesa. Non vedo pragmaticamente un’opzione diversa da quella del ritiro, a meno che, per salvare ciò che resta del suo prestigio, le Nazioni Unite, per non dar retta a Israele, decidano che qualche decina di caschi blu siano sacrificabili per niente: non respingeranno le truppe israeliane, non disarmeranno Hezbollah. Cosa stanno lì a fare?

Ma adesso, di fronte alla richiesta di Netanyahu, cosa succederà?

Gli israeliani hanno fatto capire che procederanno contro Hezbollah per mettere in sicurezza il territorio. Se i caschi blu restano, rischiano di diventare bersaglio del fuoco incrociato. Le opzioni di ritiro rapido sono due: una è via terra, su percorsi da utilizzare avvisando i belligeranti del passaggio, l’altra facendo confluire i soldati nel porto di Tiro ed evacuandoli via nave. L’ONU può ritirarsi finché c’è la guerra e tornare quando sarà finita.

L’Onu ha alternative?

Nessuno può fermare Israele. E si può discutere sul fatto se qualcuno voglia fermarlo. Da 13 giorni Usa e Israele discutono su come attuare la rappresaglia nei confronti dell’Iran. L’America a parole dice che Tel Aviv deve fermarsi, e poi fa arrivare le munizioni per andare avanti. Lo dice solo perché l’elettorato democratico, in buona parte, è ostile al disastro successo a Gaza.

Austin, segretario della Difesa Usa, ha chiesto a Gallant che Israele in Libano segua la via diplomatica, ma poi funzionari americani dicono alla Reuters che, in realtà, gli Usa assecondano la guerra a Hezbollah per indebolirlo e influenzare la nomina del nuovo presidente libanese. Una conferma che gli americani fanno il doppio gioco?

Biden e tutti i ministri parlano di negoziare, ma i rifornimenti di munizioni per artiglieria e carri armati continuano ad arrivare. Credo che gli Usa possano rischiare un’altra guerra civile in Libano, e non se ne preoccupano, come è successo con i curdi, i vietnamiti e gli afghani. Nella logica della grande potenza ci sono sempre state pedine sacrificabili, anche tra gli alleati di Washington.

Tornando all’Unifil, cosa dobbiamo aspettarci?

Non credo che Unifil sia un bersaglio per Israele, lo è diventato perché gli attacchi portati in questi giorni sono stati deliberati e non casuali, nonostante le scuse risibili degli israeliani. L’Idf vuole che l’Onu se ne vada e che l’esercito libanese si ritiri dietro il Litani, così qualsiasi cosa che si muove fra il confine e il fiume è nemica. Per fare questo, ha esercitato attacchi intimidatori che potrebbero continuare nel momento in cui i soldati Onu non si ritireranno.

Si potrebbero cambiare le regole di ingaggio dei soldati ONU per fare in modo che intervengano direttamente?

Si è parlato di implementare la risoluzione dell’Onu, Crosetto ha parlato di cambiare le regole di ingaggio. Cosa vuol dire? Che finalmente mandiamo i caschi blu a disarmare Hezbollah? Questi ci sparano addosso. Ora i militari Unifil possono sparare solo per autodifesa. Verso chi dovrebbero diventare più aggressivi? Israele che invade il Libano? Hezbollah che non disarma? Tutti e due? I caschi blu, quando scoppia la guerra, non hanno mezzi, munizioni, assetto tattico o forze per affrontare un nemico. La politica, in questo momento, sta perdendo il filo del discorso. È giusto arrabbiarsi con Israele perché spara contro i soldati Unifil, ma pragmaticamente, quando c’è la guerra, la loro presenza non ha senso.

Chi può fermare Israele in questo suo intento?

Nessuno, a meno che non lo si sconfigga sul campo di battaglia. Gli Hezbollah possono fermarlo in Libano: per Tel Aviv occupare il sud del Paese sarà un bagno di sangue. Hezbollah ha fino a 100mila uomini molto ben addestrati e, dopo un po’, magari anche per l’elevato numero di perdite, la situazione potrebbe diventare difficile da gestire per Netanyahu. Dopo il 7 ottobre, comunque, Israele è un’altra cosa, non guarda in faccia a nessuno: ci sono manifestazioni per la liberazione degli ostaggi, ma non c’è un’opposizione che dica “poveri palestinesi”. Gli Usa possono fermare gli israeliani interrompendo o rallentando i rifornimenti di munizioni, ma non sarà certo l’Onu ad agire. La mia preoccupazione è che si cerchi di mettere in difficoltà Israele usando Unifil, magari mettendo sul tavolo qualche caduto dei caschi blu. Un rischio che non ha senso che nessuno corra.

(Paolo Rossetti)

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