A Capo Naqura, nella base Onu in Libano, le cui forze militari sono dall’agosto 2018 sotto il comando del generale italiano Stefano Del Col, si sono incontrati, dopo molti tentativi andati a vuoto, rappresentanti israeliani e libanesi per decidere la demarcazione dei confini marittimi tra i due paesi, al fine di sbloccare l’impasse dello sfruttamento delle risorse energetiche nelle acque a largo del Libano e di Israele. Un giacimento enorme, spiega in questa intervista Filippo Landi, ex corrispondente della Rai  a Gerusalemme e attualmente inviato del Tg1 Esteri, che una volta sfruttato risulterà preziosissimo al Libano, sprofondato ormai da tempo nella più grave crisi economica della sua storia, e naturalmente anche agli israeliani. E gli interessi per questo possibile sfruttamento riguardano anche l’Italia: “Ci sono infatti quattro compagnie petrolifere pronte all’esplorazione e all’estrazione del gas: la francese Total, l’italiana Eni, una compagnia russa che fa parte di un consorzio libanese e poi un consorzio israeliano guidato da due società americane”. Un intreccio di livello internazionale, dunque, su cui si staglia, come unico ostacolo, la presenza di Hezbollah e dell’Iran.



Pochi sanno che tra Israele e Libano, dopo la guerra iniziata negli anni 80 e conclusasi nel 1990, non esiste ancora un trattato di pace, i due paesi risultano formalmente ancora in stato di guerra. Perché e che risvolti può avere l’inizio di questo dialogo commerciale?

Israele e Libano non sono mai andati oltre un cessate il fuoco e non c’è mai stato un accordo di pace come con la Giordania e l’Egitto. I motivi sono numerosi, sicuramente la presenza di Hezbollah, ma c’è da ricordare che fino al 2000 una parte importante del Libano era sotto occupazione militare israeliana. La decisione dell’allora primo ministro israeliano di ritirarsi portò a far sì che le truppe israeliane uscirono, ma ci sono ancora contenziosi aperti, territoriali e marittimi.



Questo incontro dovrebbe non a caso servire per chiarire le linee di confine marittimo per lo sfruttamento di un giacimento di gas al largo delle coste dei due paesi, giusto?

Giusto. Le debolezze dei due governi li hanno indotti a ritrovarsi per dialogare.

Perché dice “debolezze”? Dietro a questo inizio di dialogo non ci sono da anni gli Stati Uniti?

Non esattamente. L’accelerazione che ha portato a questo primo incontro, a cui ne seguirà un altro il 28 ottobre, è dovuto anzitutto alla necessità del governo libanese di avere fondi per la ricostruzione dopo la forte esplosione che ha investito Beirut, e la debolezza del governo di Netanyahu, visto che Israele – è giusto ricordarlo – è sotto lockdown a causa del Covid. C’è stato un calo del numero di contagi, ma lo stesso Netanyahu ha detto che i problemi rimarranno gravi. Riguardo l’America occorre tenere presente un terzo elemento.



Quale?

L’evidente difficoltà del presidente Trump nella campagna elettorale che lo ha portato a spingere per un primo incontro, ma restano preminenti problemi regionali nei due campi.

E’ un accordo di tipo commerciale che varrà anche per un processo di pace?

Qualsiasi incontro, anche se di tipo non politico, ha un valore comunque politico. Gli interlocutori che si sono incontrati sono tecnici. Da parte libanese c’è un generale, da parte israeliana il direttore generale del ministero dell’Energia, più il capo civile dell’Onu presente in Libano e l’ambasciatore americano in Libano. Ma anche i tecnici rivestono un valore politico.

Se questo dialogo andrà in porto che tipo di conseguenze ci saranno in Medio Oriente?

Le conseguenze di questi incontri sul futuro della regione dipenderanno dal tipo di accordo. La maggior parte dell’enorme giacimento di gas ricade nella zona libanese. Israele è pronta a un accordo che assegni la parte maggioritaria al Libano, ma in misura piccola, si parla di un 52 e di un 48%. I libanesi ovviamente non sono d’accordo.

C’è poi il nodo sempre incombente di Hezbollah, che si è detta contraria a un accordo con Israele. E’ così?

Il tipo di accordo determinerà le ricadute che non potranno non riguardare Hezbollah, ma anche il loro grande sponsor politico: l’Iran. Se ci sarà intesa, il passo successivo dovrà essere il via libera degli Hezbollah, ma questo solo se verranno tolte le misure economiche contro l’Iran. E’ una catena legata al tipo di accordo. Ma se gli israeliani vorranno usare la mano pesante, tutto il meccanismo si bloccherà.

(Paolo Vites)