Netanyahu è disposto a firmare per la pace in Libano, ma vuole mano libera per continuare a bombardare il nord di Gaza. Sarebbe questa, osserva Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e poi inviato del TG1 Esteri, la richiesta fatta arrivare agli americani per sbloccare le trattative. Nonostante la disponibilità a negoziare da parte di Hezbollah, infatti, gli israeliani avrebbero chiesto di poter intervenire ancora nel territorio libanese qualora la situazione lo richiedesse. Una concessione che la controparte, evidentemente, non può fare, ma che potrebbe essere rimossa se Israele ricevesse il permesso di proseguire la pesante operazione in atto nel nord di Gaza, realizzando così il piano per cui quella parte della Striscia verrebbe rasa al suolo per farci entrare i coloni. Intanto in Israele Netanyahu è nell’occhio del ciclone: un suo collaboratore avrebbe girato alla stampa un documento segreto per addossare la responsabilità del mancato accordo su cessate il fuoco e ostaggi ad Hamas.
Hezbollah dice che è pronta a trattare, gli USA sembrano pronti a perorare il cessate il fuoco e anche Netanyahu non nega a priori questa possibilità. In Libano le armi potrebbero smettere di sparare?
La trattativa che ha come base la bozza di accordo presentata dall’ambasciatrice americana a Beirut sta proseguendo. Ci sono alcuni elementi che lo confermano: la decisione dell’inviato americano per il Libano Amos Hochstein di tornare oggi a Beirut, la disponibilità di Hezbollah a discutere, le voci interne a Israele secondo le quali Netanyahu sarebbe più disponibile a un cessate il fuoco, anche se chiedendo agli USA totale libertà di manovra a Gaza.
Qual è il nodo da sciogliere?
Un elemento incombe sulla trattativa: la richiesta israeliana di poter attaccare, anche dopo il cessate il fuoco, qualsiasi parte del Libano se lo ritenesse utile per la sua sicurezza nazionale. Un’istanza che per i mediatori di tutte le parti in causa non può essere sottoscritta dal governo libanese, né accettata da Hezbollah. Questo è il punto centrale che finora ha fatto saltare le trattative.
Si tratta di un punto irrinunciabile per Tel Aviv?
Israele vuole che venga riconosciuta la sua libertà di agire nel caso in cui dal Libano vengano minacce nei suoi confronti. I rumors, comunque, dicono che Netanyahu è disponibile a rinunciare a questa clausola in cambio di poter continuare ad avere mano libera su Gaza, dove verrebbe evitato ogni cessate il fuoco. Un do ut des che l’amministrazione uscente di Joe Biden potrebbe accettare, visto anche che prima d’ora ha fatto ben poco per opporsi agli attacchi israeliani.
Tutto ciò perché Netanyahu vuole dare compimento all’ormai noto piano che prevede la distruzione del nord di Gaza per occuparlo con i coloni?
Sì, vuole realizzare il piano dei generali, svuotando il nord di Gaza di 400mila abitanti (adesso ne sono rimasti 100mila) e distruggendo metodicamente gli edifici palestinesi rimasti in piedi dopo i bombardamenti. È quello che sta accadendo adesso: gli artificieri fanno esplodere edificio dopo edificio.
Un piano che non risparmia neanche le chiese cristiane?
In questo quadro si colloca la vicenda della parrocchia latina di Gaza e il destino degli edifici della Caritas e della scuola affidata alle suore del Rosario, che hanno ricevuto l’ordine immediato di evacuazione. L’IDF ha comunicato che la parrocchia è in zona rossa, nell’area da abbandonare. Sono state indicate due vie per portare in salvo le persone che sono ancora lì. La risposta del parroco è stata resa pubblica dalla Santa Sede: ha rifiutato di uscire.
Non sembra proprio, insomma, che Israele voglia cambiare la linea attuata nelle ultime settimane: il nord di Gaza va raso al suolo senza badare tanto ai civili?
A 24 ore dall’anticipazione del libro in cui papa Francesco chiede che si indaghi per verificare se è in corso un genocidio, il ministro delle Finanze Smotrich, che è pure viceministro della Difesa con la responsabilità di tutti i territori palestinesi, pur respingendo ogni accusa di aver regolato gli afflussi degli aiuti umanitari come “arma” nei confronti dei palestinesi, ha detto che si incontrerà con l’IDF per verificare l’implementazione degli aiuti stessi a Gaza, con la richiesta, tuttavia, che la distribuzione sia gestita dagli stessi israeliani per evitare che gli aiuti finiscano in mano ad Hamas.
Qual è il problema?
È la stessa procedura seguita qualche mese fa, quando si verificò la strage in cui 100 persone morirono mentre cercavano di ricevere gli aiuti. Una vicenda che determinò il blocco dei tentativi israeliani di continuare a distribuire dentro Gaza. Nel contempo negli USA il leader della maggioranza repubblicana al Senato afferma che la Corte internazionale di giustizia dell’Aja deve smettere di indagare Israele in merito al genocidio, altrimenti gli USA dovrebbero porre in essere iniziative contro gli stessi giudici.
Intanto in Israele il clima si sta nuovamente scaldando dopo un’inchiesta che coinvolge un collaboratore di Netanyahu. Qual è il motivo del contendere?
C’è in atto un nuovo, durissimo confronto fra il ministro della Giustizia, alcuni componenti del Likud ed esponenti della magistratura, tra cui l’avvocato generale dello Stato, accusato di essere stato troppo indulgente nei confronti dell’ufficiale della Riserva che ha gettato per protesta due fumogeni nella casa di Netanyahu a Cesarea. Tutto questo mentre all’orizzonte c’è la riapertura del processo su Netanyahu per la concussione e la corruzione di funzionari governativi, messe in atto per favorire imprenditori vicini al premier. La polizia giudiziaria, tuttavia, ha posposto a data da destinarsi il previsto interrogatorio di Netanyahu. In Israele c’è il tentativo di portare a compimento gli atti giudiziari che hanno segnato i rapporti tra politica e magistratura negli ultimi anni. Intanto, però, nella polizia giudiziaria c’è una sponda a favore di Netanyahu, che si rifiuta di andare a processo.
Intanto un collaboratore del premier è sotto inchiesta per aver rivelato al quotidiano tedesco Bild un documento segreto che sarebbe stato fatto trapelare ad arte per sviare le responsabilità di Netanyahu riguardo all’impasse del negoziato sugli ostaggi. Quanto pesa questo episodio nel dibattito interno?
È un elemento che ha fatto scalpore, perché rivela, come hanno scritto alcuni autorevoli giornalisti israeliani, che il maggiore ostacolo per un cessate il fuoco e la ripresa della trattativa sugli ostaggi in realtà era interno al governo Netanyahu. La complessa vicenda, che ha interessato il capo di gabinetto e alcuni ufficiali dell’IDF, era tesa a dimostrare che l’impossibilità del cessate il fuoco era da addebitare ad Hamas e non al premier. Una versione dei fatti che era stata distribuita a organi di informazione non israeliani. Di qui l’ira delle famiglie degli ostaggi, che hanno protestato davanti alla casa di Gerusalemme di Netanyahu.
Tornando al Libano, la trattativa si sbloccherà se gli americani concederanno a Israele di procedere con il piano dei generali a Gaza?
Sì. Quando si parla di americani, però, in questa situazione bisogna ricordare che si tratta dell’attuale amministrazione USA, in carica fino a gennaio: Blinken e Biden, coloro che hanno sostenuto militarmente, politicamente, diplomaticamente Netanyahu, continuano a farlo.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.