In una guerra fatta spesso anche di disinformazione, manipolazione delle fonti, fake news se non addirittura di falsi report adeguatamente messi in circolazione, emergono comunque alcune evidenze. “Israele mira a indebolire la capacità militare di Hezbollah prima di potenziali colloqui sul cessate il fuoco, anche se persistono lacune nei negoziati”. Lo sostiene Amos Harel sul quotidiano Haaretz, solitamente ben informato sulle strategie di Tel Aviv. In pratica, ci sarebbero ancora certi angoli che devono essere smussati, prima di arrivare a negoziati veri e propri, e c’è sempre il rischio che i colloqui indiretti falliscano se Hezbollah inasprisce le sue posizioni, in risposta alla maggiore pressione militare di Israele. “Per ora – dice ancora Harel –, sembra che l’Iran sia interessato ad un cessate il fuoco come parte dei suoi sforzi per calmare gli animi prima che l’amministrazione Trump venga inaugurata. Questo potrebbe alla fine essere il fattore principale che detta il raggiungimento di un cessate il fuoco, che si baserà sugli sforzi di mediazione intrapresi proprio dagli americani”. Si vedrà, e bisogna restare ottimisti, nonostante l’assenza di precise volontà, colmata solo dalle consuete, fumose dichiarazioni delle parti in causa. È il Medio oriente, e qui funziona così, un passo avanti, uno indietro, e due o tre di lato.



Intanto sul fronte nord di Galilea la guerra non resta limitata a Beirut o alla zone di confine: i media libanesi riportano un’avanzata sistematica e diffusa delle truppe delle forze di difesa (IDF) israeliane. “Arrivano segnalazioni di battaglie vicino alla città di Khiam, una delle principali roccaforti di Hezbollah nella parte orientale della zona meridionale. Israele è anche avanzata intorno al villaggio di Deir Mimas nella parte centrale del Libano meridionale e nel villaggio di al-Bayada, nella parte occidentale. In alcuni luoghi, riferiscono i media libanesi, l’obiettivo dell’IDF è quello di impadronirsi delle aree montuose dominanti che si affacciano sul fiume Litani da sud. Queste aree si trovano nella seconda linea – e in alcune località, nella terza – dei villaggi a nord del confine tra Israele e Libano. In alcune località ci sono segnalazioni di movimenti israeliani a 10 chilometri (sei miglia) o più dal confine. Questo può tagliare i legami logistici di Hezbollah con le sue restanti unità in prima linea, consentendo all’IDF di circondarle completamente”.



Si tratta delle zone dove insistono gli acquartieramenti dei militari della missione Unifil, come la base di Shama, centrata pochi giorni fa da alcuni razzi Hezbollah, che hanno causato danni e il ferimento di quattro soldati italiani. Unifil era nata quale missione di pace, voluta dall’Onu per controllare la smilitarizzazione dell’area di confine tra Libano ed Israele, verificare il ritiro delle truppe di Tel Aviv, disarmare le milizie Hezbollah e consegnare i territori all’esercito regolare di Beirut. Sappiamo com’è andata: per decenni i terroristi filoiraniani hanno continuato a lanciare razzi e cannonate contro gli abitati israeliani dell’Alta Galilea, spesso nascondendo le proprie rampe di lancio proprio all’ombra delle basi Unifil. Adesso quella missione chiede protezione e salvacondotti ai due contendenti, quelli che avrebbe dovuto tenere a bada. Ma in questa disordinata situazione asimmetrica, non c’è da stupirsi, c’è solo da constatare l’ennesima dimostrazione di obsolescenza della disorganizzazione delle Nazioni Unite, incapaci di alcunché se non diramare risoluzioni fumose e regolarmente disattese.



Così come andrà disattesa l’emissione di mandati di arresto contro il primo ministro Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant da parte della Corte penale internazionale dell’Aia. Stesso mandato anche per i leader di Hamas, i terroristi responsabili del massacro del 7 ottobre che di fatto ha scatenato la reazione israeliana. “I mandati – ha commentato il premier israeliano – ospitano potenziali pericoli per altri israeliani, compresi gli ufficiali dell’IDF che erano coinvolti nel combattimento”. Netanyahu è anche andato contro il sistema giudiziario e il servizio di sicurezza Shin Bet e ha inviato un caloroso abbraccio al suo ex portavoce, Eli Feldstein, il sospetto detenuto nell’affare BibiLeaks, forse preoccupato che Feldstein possa rivelare tutto ciò che sa al processo.

In stallo restano l’aspettativa di decisioni per un accordo sugli ostaggi, la continuazione della guerra a Gaza e gli sforzi della coalizione per approvare una bozza di legge che soddisfi le richieste dei partiti ultra-ortodossi. Il tutto mentre pochi giorni fa Hamas diffondeva un messaggio che includeva foto che indicavano la morte di uno degli ostaggi (una donna).

La realtà oggi sembra essere che i palestinesi hanno bisogno di speranza, ma i mandati di arresto della CPI per Netanyahu e Gallant non aiutano. Netanyahu desidera trasformare quei mandati in una mozione globale di sfiducia nel diritto internazionale (dopo avere già estromesso dal territorio israeliano i funzionari Unrwa, l’agenzia Onu per gli aiuti ai palestinesi). Israele resta quindi concentrata a intensificare la pressione su Hezbollah con l’obiettivo di raggiungere un accordo, privandolo al contempo di quante più risorse militari possibili prima della firma.

Sul fronte libanese, Mohammed Abu Ali Haidar – un alto comandante di Hezbollah , molto probabilmente sopravvissuto ad un tentativo di attacco a Beirut – risulta formalmente essere il capo delle operazioni nell’ala militare dell’organizzazione terroristica. “In pratica – riporta Haaretz – , dopo l’eliminazione della maggior parte delle figure di alto livello di Hezbollah negli ultimi mesi, sta servendo come capo di stato maggiore del gruppo e consigliere militare senior del suo riluttante leader, Naim Qassem. I media arabi hanno riferito che è sopravvissuto ad un attacco che ha ucciso almeno una dozzina di persone e ha fatto crollare diversi edifici. La natura dell’attacco illustra ciò che Israele sta cercando di ottenere in questi giorni, poiché emergono frequenti rapporti ottimisti su un imminente accordo tra Israele e Libano che porrà fine alla guerra nel nord”.

Alti ufficiali dell’IDF sostengono che nei quasi due mesi di combattimenti a terra nel sud del Libano, Hezbollah ha scelto nella maggior parte dei casi di ritirare le sue forze verso nord e di non affrontare l’avanzata delle forze dell’IDF nei villaggi locali. Il numero di combattenti di Hezbollah uccisi in battaglie con l’IDF a distanza relativamente ravvicinata è alto, ma la maggior parte delle vittime subite da Hezbollah sono attribuibili ad attacchi aerei e fuoco a distanza. Nelle battaglie a corto raggio, anche l’IDF ha subito molte vittime, in scontri tipici della guerriglia urbana. Si resta insomma col fiato sospeso: il maggiore generale Amos Yadlin e il col. Udi Evental hanno scritto sul sito web di notizie N12 che un accordo con il Libano, se firmato, potrebbe essere l’inizio di una mossa più ampia che darà forma a una realtà diversa in Medio Oriente. Secondo loro, un accordo in Libano lo dissocierà da ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza. “I due credono che Israele debba concentrarsi sulla principale minaccia che deve affrontare, l’Iran”. Difficile non comprendere le loro ragioni.

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