Mike Pompeo, segretario di Stato americano, è stato ieri in Israele per una visita lampo, che di fatto rappresenta la benedizione politica del governo di unità nazionale Netanyahu-Gantz, che presterà giuramento oggi. Una novità assoluta, questo governo, che nasce dopo i ripetuti tentativi elettorali che non sono riusciti a dare al paese una maggioranza. I due leader, Netanyahu della destra più radicale e Gantz di quella moderata, si alterneranno per un periodo di 18 mesi ciascuno. “Una convivenza possibile”, afferma Filippo Landi, già inviato all’estero del Tg1, in quanto Gantz ha lasciato fuori i membri del suo partito che si opponevano all’accordo. E questo Governo, il prossimo 1° luglio, è chiamato a votare l’annessione della Valle del Giordano così come previsto dal piano di pace proposto da Donald Trump lo scorso gennaio.



In Israele nasce un governo assolutamente inedito: come immagina questa convivenza fra Netanyahu e Gantz?

È una convivenza possibile, non così complicata. Gantz ha lasciato fuori dalla porta del governo tutti quelli del suo partito che si opponevano all’accordo con Netanyahu, portando invece in Parlamento 17 deputati a lui fedeli, che infatti hanno ricevuto, come riconoscimento, incarichi ministeriali.



Questo governo porterà avanti la contestata annessione della Valle del Giordano prevista dal piano di pace di Trump?

Ci sono già stati i primi importanti incontri di Pompeo con Netanyahu prima e Gantz dopo. È interessante notare che Pompeo non si è espresso riguardo all’annessione della Valle e dei territori già occupati dalle colonie israeliane nei territori palestinesi. È stato invece l’ambasciatore americano in Israele ad affermare che questa annessione avverrà nelle prossime settimane.

Questo cosa significa?

Da parte israeliana è già pronta una proposta di legge, che dovrà essere approvata il 1° luglio, per deliberare l’annessione della Valle del Giordano. Va sottolineato un aspetto significativo: dopo il 28 gennaio, quando Trump presentò il suo piano, gli israeliani avevano espresso la volontà di procedere immediatamente alle annessioni. In quella occasione fu Trump a frenare Netanyahu.



Perché?

Per evitare le reazioni dei paesi arabi. Adesso con la presenza di Pompeo questo divieto verrà meno. Dovrebbe esserci il via libera all’annessione del 30% dei territori palestinesi. Ma, attenzione, si discuterà anche di un altro 30% di territori, una zona di sicurezza, che gli israeliani vorrebbero controllare in futuro per affermare la sicurezza generale. Questa richiesta ulteriore non è prevista nel piano di Trump e significa di fatto una annessione del 60% dell’attuale Cisgiordania, che così passerebbe sotto controllo israeliano.

I paesi arabi non dicono nulla?

Nei mesi scorsi la Lega araba, riunendo i propri ambasciatori al Cairo, ha giudicato negativamente il piano stesso, ma a quell’evento non sono seguite altre dichiarazioni forti. La stampa israeliana, curiosamente, anche quella di centro destra, in questi giorni ha espresso opinioni che mettono in guardia dal procedere con l’annessione, perché ciò provocherebbe l’irritazione del Regno di Giordania e accentuerebbe la destabilizzazione di quello che rimane dell’autorità palestinese. Queste opinioni fanno leva sui timori di una parte consistente dell’establishment militare e politico israeliano, in cui come sappiamo i pacifisti sono una minoranza.

Nel frattempo anche in Israele è arrivata la Cina, che sta collaborando alla costruzione di importanti infrastrutture. Che significato ha questa presenza nel quadro mediorientale? Pompeo non sarà molto contento di questa cosa, non crede?

Nel faccia a faccia con Pompeo si è discusso anche della presenza cinese in Medio Oriente e in Israele. Sappiamo che il confronto politico e commerciale tra Pechino e Washington è antecedente all’emergere del coronavirus, ma è diventato ancor più forte con l’esplosione della pandemia, perché Trump ha cercato ripetutamente di addossare alla Cina la responsabilità della pandemia, tanto che il suo staff è arrivato a ipotizzare addirittura la creazione del virus in un laboratorio di Wuhan.

Quindi?

La presenza dei cinesi in Israele è di lunga data. Stanno lavorando due società in partnership, una cinese e una israeliana, alla realizzazione di una delle più grandi infrastrutture in costruzione: una ferrovia leggera a Tel Aviv, il cuore del paese. Un’opera che dà un’immagine di grande impatto della presenza cinese. Tutto questo non preoccupa Israele, ma va inserito in un discorso molto più ampio, che anche per esigenze elettorali americane in vista delle presidenziali cerca di trovare un capro espiatorio ai problemi che gli Stati Uniti stanno affrontando nella lotta al virus.

Non è un segnale che nel futuro Medio oriente la Cina avrà un peso determinante?

No, anche perché in una parte consistente del Medio Oriente a fronte della Cina ci sono i paesi del Golfo, che hanno grandi disponibilità economiche. Per altri Stati, invece ai margini, il problema esiste. Ad esempio in Algeria, dove c’è stata la costruzione della più grande moschea del paese ad opera di aziende cinesi con manodopera algerina. E tutto ciò va messo in rapporto con il confronto in atto fra i grandi Stati produttori di petrolio e la Cina stessa.

(Paolo Vites)