Lo scrutinio definitivo ha confermato in Israele quanto gli exit poll avevano annunciato: la vittoria di Netanyahu, che così ritorna al potere dopo una pausa brevissima, quella del governo guidato da Lapid e Gantz, che aveva vinto proprio facendo di Netanyahu l’obbiettivo da abbattere. La coalizione di centro destra ottiene 65 seggi, quella di centro sinistra, calcolando anche un partito arabo, ne ottiene 50, mentre un altro partito arabo, rimasto fuori dalle due coalizioni, conquista 5 seggi. In sostanza, a parte due fasi (una tra il 1999 e il 2009 e quella più recente di solo un anno fa), Benjamin Netanyahu guida Israele dal 1996.
Come ci ha spiegato in questa intervista Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme, “il motivo principale della sua vittoria è legato al fatto che il governo di centro sinistra di fatto si è dimostrato una sua fotocopia, preferendo mostrare i muscoli e tenere un atteggiamento militare duro contro i palestinesi. Per questo motivo gli elettori hanno preferito riconfermare la fiducia all’originale”. Per ottenere questa vittoria, però, Netanyahu ha dovuto allearsi con il partito della destra più estremista. quello del sionismo religioso, che ha nel suo programma la cacciata da Gerusalemme di tutti gli arabo-israeliani: “Inevitabilmente si andrà verso tensioni e violenze, dentro lo stesso Israele e non solo nei territori palestinesi”.
Netanyahu ha ottenuto la maggioranza sufficiente per formare un governo stabile dopo che il paese è andato alle urne per la quinta volta in 43 mesi. Non sembrava così scontato, vero?
Infatti la vittoria di Netanyahu non era scontata, ma ha prevalso all’interno dell’area di centro la volontà, ancora una volta, di sostenere il blocco del Likud, che è tornato il primo partito, con i suoi 31 seggi. Il blocco della coalizione di centro destra tradizionalmente si fondava sull’accordo tra Likud e partiti religiosi, come il Partito della Torah, che per inciso è il primo partito per consensi a Gerusalemme con il 25% dei voti, mentre a livello nazionale arriva a 8 seggi, e il tradizionale partito che raccoglie i voti della comunità russa, che ha mantenuto le sue posizioni, anzi le ha leggermente migliorate, ottenendo una dozzina di seggi.>
Che però non erano abbastanza per vincere, è così?
Come alcuni giornali israeliani hanno titolato, la vittoria nasce dallo shock per la grande crescita estremista del partito religioso sionista, che si attesta tra 14 e 15 seggi. E’ un partito che rappresenta una rottura nel panorama della destra tradizionale, perché esprime posizioni estreme.
Si dice che i suoi leader vogliano annettere l’intera Cisgiordania senza concedere diritti ai palestinesi.
Hanno detto molte cose. Riguardo ai palestinesi e alla Cisgiordania, per loro non ci sono possibilità di avere uno Stato palestinese autonomo, mentre hanno espresso la volontà di espellere quanti più possibili arabi israeliani, a cominciare da Gerusalemme Est.
Questo porterà inevitabilmente a nuove tensioni?
Molto più che tensioni, a vere e proprie violenze, per di più questa volta all’interno di Israele, oltre che nei territori palestinesi. La situazione sarà determinata dal comportamento di Netanyahu che, ricordiamolo, è un politico di lunghissimo corso, un uomo che ha fatto arrabbiare Bill Clinton e gli americani, ma allo stesso tempo è un politico che cerca la mediazione, ovviamente a suo favore. Non è scontato che si apra un periodo di violenze generalizzate, anche se questa è una possibilità oggi più grande che prima delle elezioni.
Come si spiega la sconfitta di quello che si era proposto come “il governo del cambiamento”?
Sono diversi anni che l’area di centro sinistra in Israele è in crisi. Uno dei partiti storici, Meretz, non riuscirà a entrare in Parlamento, perché non ha superato la soglia di sbarramento del 3%. E’ un ulteriore segnale di una crisi che ha eroso prima consensi ai laburisti, adesso anche a loro.
Il motivo?
Qualcuno ha detto che l’elettorato quando deve votare cerca l’originale invece che la fotocopia.
Cioè?
La sinistra complessivamente, in primo luogo il partito di Lapid e quello dell’ex generale Gantz, ha mantenuto una politica molto aggressiva verso i territori palestinesi, l’immagine che hanno dato con la campagna militare in Cisgiordania, che ha segnato gli ultimi mesi di quel governo, è stata quella di mostrare i muscoli. Quindi alla fine ha prevalso quel partito ancora più estremo che punta all’espulsione degli arabo palestinesi. La tradizione del centro sinistra che cerca il contatto e il dialogo con i palestinesi nell’ultimo anno è stata superata da una immagine più militare.
Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione, dicendo che con la vittoria di Netanyahu sono a rischio gli Accordi di Abramo. E’ così?
Il messaggio di Biden è rivolto al nuovo governo. Lui e Netanyahu si conoscono bene: Biden insieme a Clinton è colui che ha sottoscritto l’accordo con l’Iran, che poi Trump, spinto proprio da Netanyahu, decise di cancellare. Il pericolo che viene adombrato è che tutti gli sforzi compiuti nei confronti dell’Iran e più recentemente del Libano rischiano di essere compromessi.
E tutti i problemi di Netanyahu, come il processo contro di lui per corruzione, che fine faranno?
In Italia c’è una legge che esclude dal Parlamento coloro che sono stati condannati, in Israele si sta lavorando a una legge, che non sarà sicuramente approvata, che escluda invece di perseguire i membri del Parlamento per eventuali reati commessi durante il periodo in carica. Questo potrebbe essere il caso di Netanyahu: la sua vicenda giudiziaria potrebbe essere archiviata o entrare in un freezer di lungo periodo.
(Paolo Vites)
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