È ancora in coma, sottoposto a ventilazione, dopo un ricovero di urgenza lo scorso 8 ottobre, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat, figura di spicco in quanto segretario generale dell’Olp. Colpito dal Covid, si trova in gravi condizioni in terapia intensiva in un ospedale di Gerusalemme, dove lotta per la vita. Da decenni è una figura chiave nella politica palestinese, fungendo da principale interlocutore per inviati stranieri e media internazionali ed esprimendo il suo sostegno a una soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese. Ovviamente la sua grave malattia lascia un buco importante, perché “avviene in un momento in cui le relazioni tra Israele e palestinesi dopo il cosiddetto accordo di Abramo sono a una svolta”, spiega il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore. “Questa condizione crea ulteriori problemi a una situazione già compromessa in un quadro che vede, da una parte, il Libano alle prese con una crisi economica epocale e dall’altra Israele con la più forte ondata di Covid e una realtà nazionale sempre più frantumata tra ebrei ortodossi, conservatori e progressisti”.



Quanto la grave malattia di Erekat può influire sul quadro mediorientale?

A prescindere dalle sue condizioni di salute e della sua impossibilità a svolgere il suo ruolo istituzionale, la situazione palestinese è a un punto di svolta.

In che senso?

Le aperture di Trump nei confronti delle tesi e delle aspirazioni israeliane con il trattato di Abramo, che prevede l’occupazione di gran parte della Cisgiordania, ci mettono davanti a uno scenario che cambierà inevitabilmente il quadro locale. C’è poi la distensione, sempre favorita da Trump, fra Israele ed Emirati Arabi, che taglia l’erba sotto i piedi ai palestinesi, impegnati a mantenere il controllo del proprio territorio sempre a rischio.



Una situazione che può portare vantaggi alle frange più radicali, come Hezbollah?

Il problema di Hezbollah non deve essere confuso con i palestinesi o con Hamas, che è un movimento sunnita, mentre loro sono sciiti. Non credo che Hezbollah voglia cercare grane in questo momento in cui c’è una richiesta da parte americana, ma anche della Merkel, di considerarlo movimento terrorista. Hezbollah non ha interesse, oltre il fatto che il Libano sta vivendo una crisi economica gravissima. Con l’erogazione delle lire libanesi tanti stanno richiedendo contante che viene a mancare per il collasso delle istituzioni bancarie e finanziarie.



C’è stato un avvicinamento tra Libano e Israele per la divisione dei confini marittimi, dove si trovano grandi fonti energetiche. Hezbollah era però contraria. Perché?

Chiedevano fossero soltanto colloqui tecnici, svolti da militari, in realtà erano presenti rappresentanti politici del presidente libanese. E questo per Hezbollah ha significato una piccola sconfitta.

Neppure Israele se la passa bene con la pandemia e le proteste di ebrei ultra-ortodossi e arabo-israeliani.

No, è vero. Israele è stato al riparo dalla prima ondata del virus, adesso invece ha un numero di casi importanti, così come il Libano, alle prese con il problema che la maggior parte degli aiuti sanitari sono ancora fermi a Beirut, in seguito alla violenta devastazione provocata dallo scoppio del deposito di armi vicino al porto. Non sappiamo poi cosa succede in Siria: la guerra non permette di fare il tracciamento del virus, ma tutta l’area mediorientale si trova messa male e non sappiamo come ne uscirà fuori.

Intende dire che il Covid agisce da principale attore nello scenario politico?

Il Covid sta creando conseguenze politiche in tutto il mondo. Israele, paese costantemente in guerra formale con Libano e Siria, è suddiviso in diverse realtà: gli ebrei ortodossi, gli ebrei laici, gli ebrei religiosi, i conservatori e i progressisti e in questo rispecchia un po’ il mondo occidentale. Israele è un pezzo di mondo occidentale in Medio Oriente.