Continuano le proteste in Israele contro Benjamin Netanyahu per chiedere le sue dimissioni. A Gerusalemme sono scesi in piazza in 100mila davanti al Parlamento, la Knesset, chiedendo elezioni anticipate per dare una nuova guida al Paese e più impegno per arrivare a un accordo per il rilascio dei 130 ostaggi che si trovano ancora nella Striscia di Gaza. Già sabato sera in migliaia erano scesi in piazza in molte grandi città israeliane, e la mobilitazione proseguirà nei prossimi giorni. Comunque, si tratta della prima grande manifestazione dalla strage di Hamas del 7 ottobre. Moshe Radman, imprenditore e leader delle proteste, stando a quanto riportato dal Time of Israel, a margine della massiccia manifestazione ha dichiarato che il primo ministro «non rappresenta l’opinione pubblica israeliana». Radman ha aggiunto che Netanyahu «non può ascoltare perché è nel bel mezzo della sua sopravvivenza politica e del mantenimento della sua leadership, ma spero che le persone della coalizione ci ascoltino e capiscano che l’unico modo in cui Israele si riprenderà da questo disastro sono le elezioni».
Le proteste si concentrano intorno alla Knesset, ma si terranno manifestazioni anche in altri luoghi chiave, come la residenza di Netanyahu a Gerusalemme. L’obiettivo di Radman, spiega il quotidiano Haaretz, avrebbe confidato a un piccolo gruppo di follower sui social che l’obiettivo delle proteste di Gerusalemme era quello di «creare un grande evento che sposti l’ago della bilancia» e fare pressione sul governo per fissare le prossime elezioni in Israele prima del Giorno dell’Indipendenza, fissato per il 13-14 maggio.
ISRAELE, IN PIAZZA ANCHE FAMILIARI DEGLI OSTAGGI
Svuotata da pellegrini e turisti a causa della guerra, Gerusalemme a partire dalla sera di Pasqua si è riempita di oltre 100mila persone, provenienti da tutta Israele. Tra loro anche i familiari degli ostaggi, oltre agli sfollati dei kibbutz e i riservisti ostili all’esenzione della leva per ultraortodossi e il fronte pacifista. Un popolo formato da persone con visioni politiche e caratteristiche sociali diverse, ma unite dalla voglia di cambiamento. Fino a mercoledì saranno accampati di fronte al Parlamento israeliano. Questa è una sfida cruciale per il movimento ostile a Netanyahu, visto che sarà dura ottenere la sfiducia dall’Assemblea entro i 6 giorni prima della pausa di primavera.
Del resto, la risposta del primo ministro è stata categorica. Prima di farsi operare per un’ernia, Netanyahu ha dichiarato che le elezioni anticipate arriveranno prima ad Hamas, escludendo la possibilità delle sue dimissioni in un intervento televisivo. Ha spiegato che le nuove elezioni bloccherebbero Israele per mesi, complicando le trattative per quanto riguarda gli ostaggi di Hamas. E ha ribadito: «Niente fermerà l’attacco a Rafah».