Gli aiuti umanitari a Gaza, i rapporti con gli USA, l’operazione a Rafah e i negoziati per la tregua: le grandi questioni della guerra Israele-Hamas restano senza soluzione. Nel frattempo, la società israeliana si trova a dibattere un altro tema, tutto interno, che spiega molto di come è cambiato il Paese in questi anni. La Corte suprema, infatti, ha ordinato al Governo di sospendere i fondi alle yeshivah, le scuole della Torah, per gli studenti Haredi idonei alla leva.



Fino a fine marzo, infatti, vale per loro un’esenzione dal servizio militare molto contestata e che ha portato a una frattura nel Governo di unità nazionale, che il generale Benny Gantz aveva minacciato di abbandonare nel caso si negasse ancora il loro reclutamento. L’esecutivo Netanyahu ha chiesto più volte di prorogare una decisione su questo tema, fino a che i giudici hanno emesso un provvedimento provvisorio che blocca i fondi per le scuole.



Una vicenda che mette in luce le divisioni tra la parte religiosa, ultraortodossa, di Israele e quella laica che rivendica la necessità di mettere tutti i cittadini sullo stesso piano. Netanyahu, intanto, deve rispondere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja che gli ha ordinato di garantire più aiuti a Gaza. Dopo la risoluzione ONU sul cessate il fuoco, ora il premier sembra riavvicinarsi agli USA. Si è rimangiato il no al viaggio di una delegazione israeliana negli States per discutere le strategie su Rafah e avrebbe deciso di tornare ai tavoli di confronto sulla tregua a Doha e al Cairo. Potrebbe essere, però, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro studi internazionali), solo un modo per prendere tempo: la politica di Israele su Gaza, fatta di bombardamenti ora e di controllo sulla Striscia poi, non è cambiata.



Come si spiega la norma che esenta gli Haredi dal servizio militare e quanto può incidere questa vicenda sulla società israeliana?

È una norma discriminatoria, che dà dei privilegi a cittadini con un orientamento religioso preciso. In qualsiasi altro Paese occidentale sarebbe stata giudicata come una legge discriminatoria nei confronti del resto della popolazione. Dal punto di vista politico ci fa capire quale sia il peso sociale degli ultraortodossi in Israele, condizionando il barometro politico e, se pensiamo anche alle comunità della diaspora, anche quello economico.

Cosa significa il pronunciamento della Corte suprema che sospende i fondi statali per gli studenti delle scuole della Torah in età di leva?

L’esenzione dal servizio militare si può invocare; gli ultraortodossi hanno la possibilità di essere esentati facendone richiesta. La Corte ha messo un contrappeso dicendo: Se non contribuirete allo sforzo militare allora il finanziamento statale alle scuole sarà tagliato. Siccome questa legge favorisce evidentemente una parte della popolazione, dall’altra per cercare di ristabilire un principio di equità si tolgono i fondi statali.

Gli Haredi rappresentano il 13% della società civile, anche per questo la polemica sul loro mancato contributo alla guerra potrà incidere sulla stabilità del governo Netanyahu?

Credo che possa avere un effetto ma non so quanto sul breve periodo. Gli ultraortodossi non vogliono che i loro figli vadano a fare la guerra, dall’altra rappresentano la parte più a destra dell’elettorato israeliano, quella che dice che Israele è uno soltanto e non c’è spazio per i palestinesi. È difficile orientarsi tra questi due fuochi. Il problema è che in questo momento qualsiasi decisione israeliana deve tenere conto del conflitto ed è frutto di un difficile calcolo che tenga conto di diversi elementi. Netanyahu non può smettere di fare la guerra, per ragioni sia strategiche sia personali. Ma anche se Gantz ne prendesse il posto, non potrebbe interrompere i combattimenti all’istante in una situazione in cui la leadership di Hamas è ancora a piede libero.

La questione degli Haredi può far cadere il governo?

Secondo me no. Cercheranno di tirare in lungo senza risolverla, almeno per il momento.

Intanto la Corte internazionale dell’Aja ha ordinato a Israele di portare più aiuti nella Striscia di Gaza, ormai sull’orlo di una carestia vera e propria. Netanyahu ascolterà le parole dei giudici o continuerà, come ha detto l’Alto rappresentante UE Josep Borrell, a bloccare gli aiuti come arma contro i palestinesi?

Israele potrebbe anche consentire qualche aiuto in più, ma se il giorno dopo che è stato permesso l’invio di viveri e materiale di prima necessità riprendono a bombardare peggio di prima, quegli aiuti lasciano il tempo che trovano. La politica degli aiuti israeliana è stata in linea con la strategia militare, volta a bloccare tutto per lo “strangolamento” dei gazawi. Gli israeliani potrebbero considerare l’idea di recepire l’ordine della Corte, per dare un segnale diplomatico a pochi giorni dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che chiede il cessate il fuoco.

La richiesta di far tacere le armi da parte ONU, arrivata con l’astensione USA, sembrava aver allargato la frattura fra Stati Uniti e Israele. Ora però Netanyahu ha deciso di mandare lo stesso una delegazione oltreoceano per parlare di Rafah e di tornare ai tavoli di confronto su tregua e ostaggi in Qatar e in Egitto. Pensa che Biden abbia perso la pazienza o gli darà un contentino per tenerselo buono?

È solo un modo per prendere tempo ed elaborare una strategia più strutturata. Il segnale dagli USA è arrivato e Israele lo ha capito. Stanno valutando una risposta, ma non vedo cambiamenti di rotta netti da parte di Netanyahu.

Il primo ministro, d’altra parte, continua a parlare della necessità di un attacco a Rafah. Come faranno a trovare un punto di equilibrio tra la loro volontà di attaccare l’ultimo avamposto di Hamas e la richiesta che arriva dalla comunità internazionale di deporre le armi?

Le due cose non si possono tenere insieme. Per quello che vedo in questo momento è più facile che gli israeliani optino per attaccare Rafah, piuttosto che per il cessate il fuoco. L’obiettivo è di cancellare Hamas, ma soprattutto di prolungare la guerra il più possibile, perché altrimenti Netanyahu è finito.

In tutto questo Israele ha un piano per il dopoguerra? Nonostante qualche indicazione del primo ministro, non c’è un vero progetto articolato: quale futuro immaginano per Gaza?

Un mese e mezzo fa Netanyahu presentò dei punti: lì era abbastanza evidente la volontà israeliana non dico di trasformare Gaza in un protettorato, ma di stringere ulteriormente i controlli e di limitare la possibilità di scelta della leadership da parte palestinese. Sicuramente vogliono inasprire i controlli nella Striscia e limitare i diritti politici e civili dei palestinesi. Il vero problema, ancora irrisolto, è come controlleranno questo territorio, se istituiranno un controllo militare a tempo indeterminato al fine di ristabilire le condizioni di sicurezza adeguate.

Sarebbe un bello sforzo anche dal punto di vista economico, non facile da realizzare.

Sì. L’obiettivo finale di Netanyahu resta comunque quello di limitare sempre di più i territori in cui i palestinesi possono vivere.

(Paolo Rossetti)

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