L’attacco di Hamas a Israele credo abbia posto a molti non esperti una domanda di fondo: perché questa decisione suicida? È infatti evidente l’impossibilità per Hamas di sconfiggere sul campo Israele e questo attacco potrebbe definirsi come un attacco suicida attuato non da uno o pochi attentatori, ma da un’intera organizzazione rilevante come Hamas.
In questo caso, tuttavia, vi è un duplice aspetto, perché l’attacco missilistico ha caratteristiche belliche, da guerra “normale” tra Stati. Il feroce massacro di civili sottintende invece le caratteristiche di una feroce ideologia, un fanatismo islamico per cui la vita degli “infedeli” non ha alcun valore, neppure se si tratta di bambini, e per la quale un rave party è una pratica demoniaca da purificare con l’eccidio dei partecipanti.
Malgrado gli obiettivi che si è proposto Israele, l’esito finale difficilmente sarà l’eliminazione definitiva di Hamas, anche se verranno in buona parte distrutte le sue strutture e la sua forza militare. I suoi militanti, però, potranno facilmente mimetizzarsi tra gli abitanti di Gaza e continuare i loro attacchi terroristici, pur non essendo più al governo della Striscia.
Inoltre, a Gaza vi è il braccio armato di Hamas, ma la dirigenza politica risiede in Qatar, protettore e sostenitore dell’organizzazione. Eppure, Doha non è al centro delle ostilità dell’Occidente, come invece accade per l’Iran, forse per la sua forza finanziaria e la sua importanza nel mercato del gas naturale. Anche la Turchia, membro della Nato, non è lontana da Hamas, ma Erdogan preferirà probabilmente giocare il ruolo di mediatore, come nel caso dell’Ucraina. Quindi, è probabile che Hamas continui a rimanere un elemento di perenne conflittualità nella regione, sotto il controllo dei suoi protettori e a loro disposizione.
Pur con la sua imminente sconfitta, Hamas ha già raggiunto una serie di successi, a partire dalla dimostrazione della vulnerabilità di Israele, con la sua sconcertante impreparazione di fronte all’attacco del 7 ottobre. Questo argomento non può essere affrontato ora, con un conflitto in corso, ma sarà un’imponente pietra di inciampo una volta finito, aggravando pesantemente la già grave crisi del Paese. La politica interna di Israele è sempre più caratterizzata da un estremismo confessionale ebraico che sta dividendo in modo preoccupante il Paese e che per molti versi rischia di diventare il corrispondente di Hamas in campo ebraico. Entrambi gli schieramenti sono contrari, infatti, al progetto”due popoli, due Stati”: Hamas vuole un solo Stato musulmano, gli altri mirano a uno Stato solo ebraico.
La guerra ad Hamas porterà gravi perdite all’esercito israeliano, ma soprattutto alla popolazione civile in Gaza, cui è già imposta una pesante dislocazione interna in condizioni umanitarie sempre più disperate. Hamas non è mai stata sostenuta, piuttosto subita, dalla maggioranza della popolazione di Gaza, ma le perdite umane conseguenza della reazione israeliana rischiano di radicalizzare le posizioni dei palestinesi in Gaza e in Cisgiordania contro Israele e l’Occidente in generale. Le dimostrazioni in favore dei palestinesi, e contro Israele, in diversi Paesi europei e negli Stati Uniti sono una dimostrazione di questa radicalizzazione.
Hamas ha così raggiunto uno dei suoi obiettivi, cui si aggiunge l’interruzione dei processi di avvicinamento tra Israele e alcuni Stati arabi, in primis l’Arabia Saudita. Con in più le difficoltà in cui vengono ora a trovarsi i due Stati firmatari del trattato di pace con Israele, Egitto e Giordania, i cui governi sono costretti a posizioni più radicali nei confronti di Israele per evitare problemi interni. Infatti, piaccia o no, la maggioranza dei cittadini dei Paesi musulmani sembra essere schierata a fianco dei terroristi, per noi occidentali, di Hamas. Forse è il momento che nei Paesi europei e negli Stati Uniti si evitino gli schieramenti “senza se e senza ma” per una delle parti in conflitto, si vada alla radice del problema e si cerchi di risolverlo positivamente. E la radice è che non può essere accettata la cancellazione di nessun Stato, né quello esistente di Israele, né quello, purtroppo sempre più futuribile, palestinese.
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