Il conto delle vittime nella striscia di Gaza è salito a 23 e oltre 70 sono i feriti. È il bilancio della risposta militare di Israele al lancio di razzi, che hanno colpito anche un’autostrada, da parte dei gruppi islamisti radicali che operano nella Striscia, scatenato a loro volta come risposta all’uccisione mirata di un leader della Jihad islamica palestinese, Baha Abu al Ata. Come sempre, alla luce della tensione continua tra Palestina e Israele, sorge la domanda: si tratta dell’ennesimo scontro temporaneo, come già successo tante volte, o si corre il serio pericolo che tutto possa sfociare in un conflitto più grave? Secondo l’ex corrispondente Rai in Medio Oriente e profondo conoscitore della regione, Filippo Landi, il quadro è in veloce evoluzione: “In Israele, dopo le ultime elezioni, si registra una situazione molto fluida, che potrebbe portare anche a cambiamenti di grande spessore. Il leader del partito centrista Blu e Bianco, l’ex generale Benny Gantz, incaricato di formare il nuovo governo, sta lavorando a un’apertura nei confronti dei partiti arabo-israeliani, che rappresentano il 20% della popolazione”. Allo stesso tempo, aggiunge Landi, nel caotico quadro attuale del Medio Oriente, Israele si trova spiazzata dall’inversione di marcia di Trump nei confronti dell’Iran.



Siamo di fronte a un conflitto limitato nel tempo o c’è il rischio che la situazione sfugga di mano? Hamas che ruolo sta giocando tra Israele e i gruppi della Jihad islamica palestinese?

Come fanno notare in questi giorni alcuni giornali israeliani, Israele viene colpita e a sua volta colpisce la Jihad islamica mentre allo stesso tempo va avanti una trattativa segreta con Hamas, finalizzata al mantenimento di una tregua, che dovrebbe essere permanente. Se però il numero delle vittime a Gaza dovesse aumentare, la situazione potrebbe cambiare.



In che direzione?

Hamas potrebbe cedere alle pressioni del popolo di Gaza e iniziare un’azione parallela a quella intrapresa dalla Jihad islamica, fermo restando che sul lungo periodo entrambi i gruppi si considerano troppo deboli per dare inizio a uno scontro a tutto campo con Israele.

È vero quanto riportano alcuni media che la morte di al Ata sarebbe considerata non del tutto negativa da Hamas, perché ritenuto un leader troppo radicale ed estremista?

I rapporti fra Hamas e Jihad sono conflittuali non da oggi. Diverse volte Hamas è intervenuta, anche pesantemente, sui militanti radicali perché i suoi ordini venissero rispettati in tutta la Striscia di Gaza. Va poi aggiunto che a trattare non è solo Hamas, perché in questo momento c’è anche la politica israeliana nel suo complesso a interloquire con la Jihad.



Il quadro del Medio Oriente è molto complicato, tra l’espansionismo di Erdogan, la crisi apertasi in Libano e il ruolo dell’Iran. In che modo tutto ciò influisce sullo scontro tra Israele e palestinesi?

In questa situazione difficile e conflittuale in tutto il Medio Oriente sta emergendo un particolare nuovo. Per la prima volta in Israele i partiti arabi israeliani, che rappresentano la minoranza dei palestinesi in Israele, hanno assunto un ruolo nuovo. E questo attentato mirato va letto proprio all’interno di quello che sta succedendo a Gerusalemme.

Di quale fatto nuovo si tratta?

La persona che in questo momento sta cercando di formare un governo, il generale Benny Gantz, ha aperto un dialogo con questi partiti. Una cosa mai successa prima, anche se la prospettiva di un loro ingresso in un possibile governo non ha ovviamente possibilità di realizzarsi.

Ma questo dialogo cosa rappresenta?

La politica israeliana diventa interlocutrice della Jihad, che è contro ogni possibile intesa fra partiti arabi e un futuro governo israeliano. È anche interesse di Netanyahu, primo ministro ancora in carica, impedire questa intesa, perché il suo obiettivo è un governo di unità nazionale, in cui possa continuare ad avere un ruolo, magari come ministro degli Esteri o della Difesa. Quindi, nel caos generale, la politica in Israele annovera un nuovo protagonista.

Questa collaborazione tra i partiti arabi e il partito di centro israeliano potrebbe portare a un cambiamento della politica estera di Gerusalemme?

È molto difficile dirlo, come è difficile prevedere che tipo di sostegno, anche solo sotterraneo, il primo ministro incaricato avrà dai partiti arabi. Certo è che i palestinesi di Israele cercano di limitare il peso politico di Netanyahu e per questo sono disposti a dare un aiuto a Gantz, ex militare che nei confronti dei palestinesi non si è dimostrato una colomba. Ma per una parte del mondo politico arabo ridurre il peso di Netanyahu al momento è l’obiettivo più importante.

Tornando al quadro mediorientale, che ruolo ha Israele? Come guarda ai sommovimenti in atto in Libano e alla minaccia turca?

Israele è rimasta sorpresa dal comportamento di Trump. Gli israeliani pensavano che dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale e il riconoscimento dell’annessione del Sinai, il passo successivo sarebbe stato la formalizzazione di un piano di guerra contro l’Iran. Adesso, nonostante le tante parole del presidente americano e la sua decisione di mettere in crisi gli accordi sul nucleare, Trump sembra diventato molto più cauto. L’ipotesi di un incontro con il presidente iraniano ha scioccato i politici israeliani. In questo quadro Gerusalemme vuole capire le reali intenzioni di Trump, perché al momento non ha per niente chiaro che cosa il presidente americano sia disposto a portare fino in fondo.