Il primo obiettivo resta l’eliminazione di Hamas. Alla ripresa dei combattimenti, dopo la tregua per liberare una parte degli ostaggi, Israele vuole per prima cosa scovare i capi dell’organizzazione terroristica che ha scatenato l’attacco del 7 ottobre. Senza guardare troppo alle conseguenze che questo potrebbe comportare per i civili. Ora lo fa prendendo di mira Khan Yunis, città del Sud della Striscia dove sta braccando Yahya Sinwar, leader di Hamas a Gaza, e gettandosi sulle tracce di Mohamed Deif, comandante delle brigate Al Qassam, originario proprio della cittadina che ora è il principale teatro dell’operazione militare israeliana.
Si punta a eliminare il più possibile i capi, ma anche i miliziani. Secondo alcune stime ne sarebbero stati uccisi 5mila, uno per ogni due civili morti negli attacchi a Gaza. In tutto la macabra conta dei cadaveri, secondo i dati resi noti dal ministero della Sanità di Hamas, ha superato quota 15mila. Ma altri combattenti sarebbero ancora nascosti nei tunnel, che potrebbero essere allagati dall’Idf per renderli inutilizzabili e obbligare gli occupanti a uscire.
Il piano di Israele, però, spiega Stefano Piazza, giornalista e scrittore, esperto di sicurezza e terrorismo, mira a individuare ed eliminare anche i leader dell’organizzazione che sono all’estero, segnatamente in Turchia, Qatar o Libano, con azioni che forse non verranno messe in atto subito. La rete di Hamas nel mondo d’altra parte è molto diffusa e porta fino in Malesia, centro nevralgico per il finanziamento e l’organizzazione di attentati. Non tutti sono convinti che un’operazione a tappeto come questa riuscirà comunque a eliminare il pericolo del terrorismo. L’obiettivo degli israeliani, però, è chiaro. E continuano a perseguirlo.
Israele ha sempre nel mirino Hamas e i suoi capi. Nonostante le operazioni nella Striscia sta pensando di farla pagare anche ai leader che sono all’estero. Dove è presente l’organizzazione nel mondo e dove sono le persone cui Netanyahu ha ordinato di dare la caccia?
Hamas è presente in tutto il mondo: l’inventore del canale Telegram “Gaza now”, per esempio, molto probabilmente vive in Austria. Ma i leader sono essenzialmente in Qatar e Turchia, dove Erdogan ha concesso loro la cittadinanza turca. A Doha Ismail Haniyeh e gli altri vivono come nababbi e depositano i soldi nelle banche del Qatar. Ora temono che il Mossad organizzi operazioni di eliminazione dei leader: accadrà di sicuro, si tratta di capire quando e come.
Hanno dei collegamenti importanti anche in Asia. Quanto contano questi legami?
Li hanno soprattutto in Malesia dove ci sono le menti finanziarie, quelli che hanno veicolato i bitcoin arrivati negli ultimi mesi ad Hamas. Un Paese centrale in queste storie: anche l’attentato dell’11 settembre 2001 è stato finanziato con soldi provenienti dalla Malesia.
Erdogan ha tuonato contro l’eventualità di azioni del Mossad in Turchia. Come è possibile stanare questi capi all’estero? Non si rischiano pericolosi incidenti diplomatici?
Basta ricordare l’operazione “Collera di Dio”, voluta da Golda Meir dopo l’azione terroristica alle Olimpiadi di Monaco, per capire che Israele non bada molto a queste conseguenze. E poi mica ci metteranno la firma, lo faranno in modo tale che la loro responsabilità non sia evidente: bisognerà dimostrare che sono stati loro. Non credo comunque che andranno in Turchia, aspetteranno che i capi si spostino, intercettandoli durante un viaggio per esempio. In Qatar è diverso: c’è un accordo perché i leader di Hamas non vengano toccati fino a che sono lì. Ma la tregua è finita perché per Israele Hamas non ha rispettato l’intesa, potrebbero non sentirsi più obbligati a tenerne conto. Non credo comunque che sia un’operazione imminente, c’è bisogno di tempo. Per loro adesso l’obiettivo principale è Sinwar, che si trova a Khan Yunis, e la parte militare dell’organizzazione. Poi verrà il momento di occuparsi degli altri leader.
I capi che vivono all’estero che esistenza conducono: sono nascosti o perfettamente integrati nel Paese che li ospita?
I veri capi, i leader riconosciuti, sono quelli che vivono in Qatar, come Haniyeh, che ha un patrimonio di 4 miliardi e mezzo di dollari: la loro gente muore di fame, ma i capi sono miliardari. Finora hanno vissuto alla luce del sole, protetti dal regime di Al Thani, in ville sul mare o in alberghi di lusso. L’anno scorso è circolato il conto di una riunione che era durata una settimana, costata un milione di dollari, con 100mila dollari di “massaggi e varie”. In Qatar c’è anche Khaled Mechal, un altro capo. Gli americani hanno più volte chiesto ai qatarioti di liberarsi di loro quando sarà finita la guerra. Alcuni si sono sistemati in altri Paesi: in Libano c’è Saleh al Arouri, in Turchia i figli di Haniyeh e altri.
L’obiettivo dell’operazione militare nella Striscia resta principalmente quello di neutralizzare Hamas, di procedere all’eliminazione di quanti più miliziani possibile. Secondo una stima ne sarebbero stati uccisi 5mila, uno per ogni due civili morti sotto i bombardamenti. Quanto è riuscito a realizzare del suo piano Israele e a cosa punta adesso?
Sono molto vicini a colpire i vertici militari, in particolare Sinwar: sanno che è a Khan Yunis. I numeri delle persone eliminate potrebbero essere quelli, ma in questo momento da questo punto di vista è meglio restare prudenti. In tutto i miliziani dovrebbero essere tra i 15 e i 20mila. Quelli che sono stati neutralizzati finora erano nascosti nei tunnel ma anche negli ospedali, nelle scuole, molti sono caduti in battaglia, perché ci sono scontri sanguinosi, porta a porta. Si nascondono dove possono e le strutture per farlo sono sempre meno. A Kahn Yunis ci sono stati interventi imponenti dell’esercito israeliano. Da quando è iniziata questa operazione sono stati colpiti almeno 100 obiettivi.
Ma quali sono materialmente questi obiettivi?
Sono centri di comando, tunnel, nascondigli, depositi, tutta la logistica di Hamas. Si tratta di un’operazione complessa che mira a eliminare tutte le infrastrutture. Gli israeliani hanno distrutto anche l’università di Gaza, che era finanziata dal Qatar. L’obiettivo è distruggere tutto. Poi, nel giro di pochi giorni, si interverrà sui tunnel: Israele ha costruito delle speciali pompe per allagarli e costringere i miliziani a scappare fuori per evitare di annegare.
Non c’è il rischio così di mettere in pericolo anche gli ostaggi che sono rimasti nelle mani di Hamas?
Da quello che so hanno identificato una buona parte degli ostaggi, che non sono nei tunnel, ma non sono ancora intervenuti per paura che vengano uccisi. Restano una questione a parte. Gli uomini di Hamas sono ancora nascosti nei tunnel con le armi e i missili, con tutta la loro logistica.
Ma Hamas è ancora viva, ha risorse da spendere in termini militari o effettivamente l’Idf ha già colpito duramente capi e strutture?
Sotto l’aspetto militare Hamas è stata quasi distrutta, ma secondo i piani israeliani vanno uccisi i capi, va annientata completamente l’organizzazione. Devono prendere i leader simbolici. Oltre a Sinwar c’è anche Mohamed Deif. Gli obiettivi sono loro due. Poi vogliono uccidere il maggior numero di appartenenti ad Hamas, non vogliono che si riorganizzino. Ci sarebbero ancora 7mila persone nei tunnel da stanare.
L’organizzazione palestinese ha una sua gerarchia? Come è strutturata?
Ha una struttura verticistica tipo esercito: è il braccio armato della Fratellanza musulmana, una gerarchia con capi politici e militari, addetti alla propaganda che curano le pagine social. È un’organizzazione vera e propria, molto ramificata, con responsabili territoriali che esercitano un controllo ferreo senza il quale sarebbe impossibile governare una situazione come quella di Gaza. La gente della Striscia è prigioniera di Hamas, subisce la sua capacità di controllare il territorio. Hanno responsabili di area, degli approvvigionamenti, del carburante, ci sono dei ministeri: tutto in quell’area passa dalle loro mani.
(Paolo Rossetti)
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