L’8 gennaio, un bombardamento aereo israeliano ha provocato la morte di un alto ufficiale di Hezbollah, Wissam Hassan al Tawil, nel sud del Libano.
Questo episodio è inserito in un contesto di crescente tensione regionale, alimentata dal continuo conflitto israelo-palestinese. L’attacco ha preso di mira un Suv, uccidendo immediatamente il militante. Secondo le fonti libanesi, questa è stata la morte del secondo obiettivo di più alto profilo da quando sono iniziate le operazioni di Israele a Gaza in risposta all’attacco del 7 ottobre e scontri meno intensi tra Israele e Hezbollah. Gli scontri, quasi quotidiani, si sono intensificati nell’ultima settimana, in seguito a un attacco, attribuito a Israele, in una periferia a sud di Beirut, dove è stato ucciso un alto funzionario e comandante di Hamas, Saleh al Arouri.
Secondo alcuni analisti, questi eventi potrebbero preannunciare una escalation imminente. In questo contesto, il segretario di Stato americano Antony Blinken, di recente ritornato nella regione, sta cercando di prevenire un’espansione del conflitto. I combattimenti nella Striscia di Gaza continuano, anche a nord, dove Israele ha dichiarato di aver concluso le operazioni principali per concentrarsi sulla parte centrale dell’enclave e sulla città meridionale di Khan Younis, dove migliaia di palestinesi si sono rifugiati, fuggendo dal nord di Gaza.
Allo stesso tempo, funzionari israeliani hanno ripetutamente affermato che i combattimenti continueranno per molti mesi, fino a quando “Hamas non sarà completamente sconfitto e tutti gli ostaggi saranno liberati”. Secondo stime recenti, circa 100 dei 240 ostaggi catturati dal gruppo palestinese sono ancora a Gaza. Gli altri sono stati rilasciati durante una pausa nei combattimenti, durata dal 24 novembre al primo dicembre.
Secondo il ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, dall’inizio dell’offensiva terrestre, aerea e marittima di Israele contro Gaza, oltre 23mila palestinesi sono stati uccisi, la maggior parte donne e bambini. Questa istituzione non differenzia il totale delle vittime in base a civili o militanti. Da parte sua, lo Stato israeliano sostiene che la maggior parte dei palestinesi uccisi erano militanti, attribuendo inoltre la responsabilità delle morti di civili ad Hamas, e accusandolo di usarli come scudi umani, operando in aree densamente popolate o vicino a edifici pubblici. Hamas ha ripetutamente respinto queste accuse.
Dall’inizio delle operazioni israeliane, quasi l’85% della popolazione dell’enclave, pari a circa 2,3 milioni di persone, è stata sfollata internamente, mentre l’assedio totale imposto da Israele e le restrizioni al numero di camion di aiuti che possono entrare nella Striscia hanno creato quello che le Nazioni Unite hanno definito un “disastro umanitario”.