Ieri una terza ondata di raid israeliani ha sconvolto il già martoriato Libano: l’Idf ha dichiarato l’impiego di 2mila ordigni in 24 ore. Lo scopo dichiarato di Israele è prevenire la minaccia di Hezbollah in modo da consentire il ritorno degli sfollati nel nord. Ma quella di Israele non è una risposta proporzionata, vìola i principi del diritto umanitario perché colpisce senza differenza miliziani di Hezbollah e civili: è illegittima per il diritto internazionale, spiega al Sussidiario Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma Sapienza. Se consideriamo l’intera operazione, dall’esplosione a di stanza dei Devices elettronici alle bombe di questi giorni, “credo non sia irragionevole parlare di terrorismo di Stato”, puntualizza il giurista.



Israele ha attaccato il Libano sulla base di un principio ormai collaudato: “Non aspettiamo la minaccia, la anticipiamo”. Siamo di fronte ad una guerra preventiva?

Non parlerei di guerra preventiva. Da anni c’è un confronto armato a bassa intensità fra Israele e Hezbollah. Nei mesi passati il confronto è aumentato di intensità, ma le parti hanno con molta cura evitato un confronto armato diretto. Da pochi giorni, però, vi è un’improvvisa accelerazione da parte di Israele, peraltro velatamente prospettata da Netanyahu; un’azione qualificabile come azione di guerra.



Se non è preventiva, d quale tipo di guerra si tratta?

A mio parere questa è la classica situazione qualificabile come “accumulazione degli eventi”. In altre parole, uno Stato, in questo caso Israele, subisce varie azioni militari di bassa intensità e risponde con un attacco armato in piena regola. Lo Stato che attacca proclama di agire in legittima difesa perché “cumula” nella sua azione massiccia una risposta ai molteplici attacchi a bassa intensità.

Da dove emerge questa dottrina militare?

Dalle dichiarazioni degli esponenti israeliani. Più volte, Netanyahu ha indicato che lo scopo di questa azione è quello di allontanare Hezbollah dalla frontiera settentrionale di Israele e consentire il ritorno dei civili su quei territori.



Quali problemi pone al diritto internazionale l’azione di Israele in Libano?

Ne individuerei almeno tre. Il primo è che uno Stato non può equiparare una serie di attacchi a bassa intensità, pur molto fastidiosi, a una risposta militare massiccia. Nella logica del divieto della forza, una risposta massiccia è molto pericolosa perché produce una escalation del conflitto, pericolosa per la sicurezza internazionale.

Il secondo?

Un secondo problema è che l’attacco di Israele non è, evidentemente, una misura difensiva. Ma anche se volessimo considerarla tale, sarebbe evidentemente sproporzionata. Non può essere considerato proporzionato un bombardamento esteso a larghe parti del territorio libanese, che produce centinaia di vittime in risposta a lanci di razzi, pressoché tutti intercettati dalla difesa aerea israeliana.

Il suo terzo rilievo?

In terzo luogo, vi è un’evidente violazione dei principi del diritto umanitario, in particolare del principio della distinzione fra civili e combattenti. Già l’azione attraverso i walkie talkies ha colpito indiscriminatamente esponenti di Hezbollah e civili libanesi. Leggo poi che Israele ha ordinato a civili libanesi contattati per telefono di evacuare i palazzi nei quali sarebbero nascosti combattenti o infrastrutture di Hezbollah, in quanto possibili obiettivi militari. Questo è francamente sconcertante: come fa un civile a sapere che nel proprio palazzo c’è un combattente di Hezbollah?

L’operazione di Israele è legittima per il diritto internazionale?

Non solo non è legittima, ma è anche pericolosamente avventurosa.

Non crede che sia un’avventura lucidamente pianificata?

Si può immaginare che il Governo israeliano stia approfittando della coincidenza con la campagna elettorale negli Usa per poter avere mani libere. Negli Stati Uniti, dove mi trovo in questo momento, i candidati alla presidenza tendono ad evitare argomenti che potrebbero alienare il consenso elettorale. In questo “vuoto di potere”, le azioni, francamente irresponsabili, della dirigenza israeliana possono creare conseguenze inimmaginabili in un’area fra le più pericolose per la sicurezza globale.

La strage di civili connessa alle operazioni “mirate” – siano esse le detonazioni di apparecchiature, oppure i bombardamenti di questi giorni – sembra contraddire la definizione di queste ultime: “mirate” appunto. Come commenta?

Va detto che questa azione, battezzata come la guerra dei walkie talkies, non è stata rivendicata da Israele, tuttavia vi sono molti indizi che la riconducono all’intelligence militare israeliana. Essa colpisce per l’audacia e per la perizia tecnica che l’ha consentita. Ma si tratta di un’azione che viola gravemente il diritto umanitario, perché colpisce indiscriminatamente combattenti di Hezbollah e civili. Credo che non sia irragionevole parlare di terrorismo di Stato.

A suo avviso, Israele potrebbe equiparare in modo legittimo la “neutralizzazione” di Hamas a Gaza a quella di Hezbollah in Libano?

Ritengo che siano azioni militari diverse fra loro, ma c’è un elemento comune. La guerra a Gaza è iniziata il 7 ottobre 2023 con il proposito di azzerare Hamas. Questo obiettivo non sembra essere raggiunto e, al contrario, si sta azzerando la popolazione civile di Gaza. Io ho sempre sostenuto che sia difficile parlare di genocidio da parte dello Stato israeliano in mancanza di un piano genocidiario. È molto difficile imputare a uno Stato, e cioè a una persona giuridica, un crimine che esige un dolo specifico. Ma la guerra a Gaza resterà nella storia come un’azione perpetrata con assoluto disprezzo del diritto umanitario.

La guerra del Libano invece?

Costituisce una violazione del divieto di uso della forza, tesa dichiaratamente ad allontanare Hezbollah dalla frontiera. Non credo che Israele immagini di azzerare il consenso di Hezbollah in Libano o il suo potere militare. In ogni caso, si tratta di azione illegittima, che sta causando molte perdite fra la popolazione civile e mette in serio pericolo la sicurezza internazionale.

Sembra che il presidente Biden abbia manifestato l’opinione che questa azione militare non è nell’interesse di Israele. Che dire?

È una posizione vagamente pilatesca ma vera. Non mi pare neppure nell’interesse degli equilibri geopolitici mondiali.

Le guerre dell’Occidente negli ultimi vent’anni, quelli dell’ordine neoliberale, sono andate sempre più assomigliando ad azioni penali internazionali punitive verso i riottosi che lo trasgredivano; pensiamo soltanto alla Libia. Non crede che l’operazione “preventiva” di Israele in Libano si ispiri alla stessa logica?

La risoluzione 1973 mirava a un nobile scopo: quello di assicurare l’incolumità dei civili della Cirenaica sottoposti a bombardamenti da parte dell’aviazione militare di Gheddafi. Poi, tutto è andato male: gli Stati Uniti e la Francia hanno colto l’occasione propizia per liberarsi del regime di Gheddafi e hanno travisato consapevolmente il mandato Onu provocando un cambio di regime. Di conseguenza, hanno destabilizzato la Libia senza avere una chiara visione per il futuro. E gli effetti di quell’azione si sono avvertiti in maniera deflagrante. Difatti, dopo di allora gli Stati occidentali non hanno più ottenuto alcuna autorizzazione dal Consiglio di sicurezza nel timore che si potesse ripetere lo “schema libico”. Qui la situazione è diversa. Sono gli Stati occidentali a frenare l’azione del Consiglio di sicurezza. Ma lo schema libico in parte si riproduce a Gaza, perché fare una guerra senza una chiara visione del futuro è davvero una azione sconsiderata. Riecheggiando una famosa frase attribuita a Talleyrand, “è peggio che un crimine; è un errore”.

Guterres ha detto che oggi i Paesi fanno quello che vogliono e che “il livello di impunità è moralmente intollerabile”. Che cosa si è rotto?

Si sono rotte molte cose. Il precedente della Libia ha convinto molta parte del Sud globale che non ci si può fidare degli Stati occidentali. In effetti, anche nella partita di Gaza gli Stati occidentali, in particolare gli Stati Uniti, pur criticando le condotte di Israele, hanno evitato di prendere misure effettive per indurre Israele a rispettare il diritto internazionale e prevenire il massacro della popolazione civile palestinese. In effetti, Israele sembra avere uno status di impunità dalle regole della convivenza internazionale.

L’operazione a Gaza contro Hamas è stata intrapresa per eliminare in modo definitivo i fautori di un nuovo genocidio, secondo il governo israeliano.

Ma le ragioni della storia non possono giustificare tutto: la carestia, i bombardamenti su ospedali e scuole, le atrocità verso la popolazione civile di Gaza, che da un anno vive in tendopoli malsane, senza i mezzi indispensabili per una vita appena decente, e così via. Le ragioni della storia non possono giustificare le azioni del governo militare israeliano nella Cisgiordania e, ancor meno le impunità delle azioni terroristiche dei coloni. Ora a ciò si aggiunge l’attacco al Libano. Sembra proprio che Israele intenda provocare una guerra totale nella regione del mondo più pericolosa.

C’è una via di uscita da questa tragedia?

La società israeliana dovrebbe prendere consapevolezza che la sua dirigenza sta portano Israele all’isolamento nel mondo e forse anche verso le immani catastrofi di una possibile guerra totale.

Intanto all’Onu Biden ha detto che “è l’ora del cessate il fuoco”.

Più volte il presidente degli Stati Uniti ha pronunciato parole simili. Ma la dirigenza israeliano lo ha smentito e, francamente, talvolta ridicolizzato. D’altronde, Biden ha rinunciato all’unico strumento di pressione che possiede.

Si riferisce alle armi?

Se Israele compie azioni spettacolari che nessuno Stato della regione riesce a fermare, è grazie agli armamenti forniti dagli Stati Uniti. Ma Biden si è ben guardato dall’usare questo mezzo di pressione per fermare l’avventurismo della dirigenza israeliana.

(Federico Ferraù)

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