Cento aerei israeliani all’attacco di basi dei pasdaran e di siti per la produzione di missili. Tuttavia, il blitz ordinato dal governo Netanyahu la scorsa notte contro l’Iran è parso un po’ “telefonato”, in un gioco delle parti in cui, per il momento, nessuno sembra volere l’escalation della guerra. Teheran, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, ha troppi problemi interni, soprattutto economici, per impelagarsi in un conflitto diretto con Israele.



La situazione di Gaza, d’altra parte, prima o poi dovrà risolversi, e questo potrebbe aprire nuovi scenari, fornendo al presidente Pezeshkian l’occasione per tentare di allentare la morsa delle sanzioni contro il Paese. Ci sono altri elementi che potrebbero modificare la situazione: la successione di Khamenei, la guida suprema iraniana, e una sorta di tentativo di distensione fra sunniti e sciiti. Arabia Saudita e Iran hanno anche svolto esercitazioni militari insieme. Nel nuovo contesto geopolitico Teheran, infine, non è più così isolata: basta pensare ai BRICS e ai rapporti non solo commerciali con Russia e Cina. Non sarà così facile prenderla di mira.



L’attacco all’Iran da parte di Israele porterà a un’ulteriore escalation in Medio Oriente?

Tutti i segnali indicano che né Israele né l’Iran desiderano aprire un fronte: gli israeliani hanno informato in anticipo gli iraniani, toccando le basi militari ma non le strutture economiche e nucleari del Paese, mentre gli iraniani hanno minimizzato la portata e le conseguenze dell’attacco. Sembrano tutti soddisfatti così: salvo incidenti, l’episodio dovrebbe chiudersi qui.

Perché nessuno dei due contendenti vuole arrivare allo scontro?

Gli israeliani hanno già un fronte aperto a Gaza e uno in Libano; aprire un terzo fronte sarebbe complicato. Gli iraniani, invece, affrontano molti problemi interni: l’inflazione è aumentata di nuovo, non c’è crescita economica e devono sostenere Hamas e Hezbollah. Nessuno vuole aprire un conflitto con un Paese a 1.500 chilometri di distanza che non rappresenta una grossa minaccia.



In una dichiarazione del ministero degli Esteri iraniano, pubblicata sul Teheran Times, si rivendica il diritto all’autodifesa, ma si sottolinea anche che il Paese è “consapevole delle sue responsabilità in materia di pace e stabilità regionale”. È una conferma che l’Iran non risponderà a Israele?

Tutto coincide, questa volta non ci sono troppe ambiguità, anche se in Medio Oriente può cambiare tutto rapidamente. L’Iran è in una fase di transizione, con un leader molto anziano e un nuovo governo che ha promesso di ridurre le sanzioni: hanno un’economia in difficoltà, e una guerra non aumenterebbe la popolarità del regime, anzi rischierebbe di farlo cadere. La prudenza ha portato gli iraniani a un atteggiamento non troppo aggressivo, anche per non inimicarsi l’Arabia Saudita.

I rapporti con i sauditi stanno cambiando davvero?

Gli iraniani evitano di entrare in questioni molto complesse della geopolitica mediorientale, che attualmente vede un riavvicinamento tra sunniti e sciiti. Iran e Arabia Saudita hanno svolto esercitazioni militari congiunte; ai BRICS erano presenti entrambi i Paesi: ci sono segnali di riavvicinamento. È improbabile che questo processo giunga fino in fondo, ma è in atto un tentativo.

Le difficoltà interne dell’Iran potrebbero portarlo a non appoggiare più Hamas, Hezbollah e gli Houthi?

I proxy sono molto utili all’Iran, soprattutto quelli libanesi. Non si sa cosa sia rimasto di Hamas, ma Siria e Libano restano territori irrinunciabili per Teheran, così come una parte dell’Iraq. Gli iraniani stanno ancora sostenendo i proxy, ma preferiscono non esporsi direttamente. Potrebbero avere più difficoltà a sostenerli, ma continueranno finché possibile: il controllo di un territorio che si estende dall’Iran fino al Libano è troppo importante per loro, e il regime non vi rinuncerà.

Gli iraniani potrebbero delegare proprio a loro la risposta a quest’ultimo attacco israeliano?

Certamente, e Hezbollah sta resistendo bene agli attacchi: Israele non è riuscito a sfondare. Pur avendo eliminato diversi leader, la struttura organizzativa funziona, tanto da riuscire a lanciare 130-140 attacchi contro obiettivi israeliani, con droni capaci di colpire fino alla residenza di Netanyahu. Israele, poi, non ha il coraggio di procedere a una vera invasione.

Come potrebbe muoversi l’Iran in questo momento?

Il nuovo presidente sta tentando qualche cambiamento in politica interna. Bisognerà vedere cosa accadrà a Gaza: entro pochi mesi la situazione dovrebbe cambiare, magari dopo le elezioni americane o in seguito ai nuovi colloqui di pace in Egitto. Questo potrebbe trasformare tutto lo scacchiere. Anche Hezbollah ha sempre affermato che cesserebbe di combattere se si trovasse una soluzione politica per Gaza. Una volta chiuso questo fronte, l’Iran potrebbe modificare la propria posizione, anche se Israele vuole l’attuazione della risoluzione ONU per smilitarizzare il sud del Libano. Credo che una soluzione sia possibile.

Su cosa deve agire Teheran per migliorare anche la sua situazione interna?

L’Iran sta già agendo. Non è più isolato come due anni fa: i leader iraniani hanno incontrato quelli di Russia, Cina, India e altri 30 capi di Stato ai BRICS. Se la questione di Gaza si risolvesse, l’Iran avrebbe più spazio per tentare di ridurre gli effetti delle sanzioni, che pesano molto, e trovare una soluzione per il proprio programma nucleare.

Resta poi il vero nodo da sciogliere: la successione a Khamenei.

Il potere è nelle mani di Khamenei e del suo entourage: c’è un problema di successione che probabilmente verrà risolto nella continuità. Al momento non sembra in vista una soluzione simile a quella che ha portato Pezeshkian, considerato riformista, alla presidenza, ma è più probabile che, se avverrà un cambio di regime, questo si realizzi dall’interno, senza spinte esterne. Non è chiaro cosa pensi Trump a riguardo, ma Biden, e probabilmente anche Harris, non hanno mai creduto alla capacità americana di cambiare i regimi. Tentativi simili si sono dimostrati fallimentari, come in Iraq.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI