Mentre a Vienna si tengono i colloqui finalizzati al possibile ritorno degli Stati Uniti al tavolo dell’accordo sul nucleare con l’Iran, firmato nel 2015 e da cui Trump si sfilò nel 2018, continua quello che il Wall Street Journal ha definito “il nuovo fronte della guerra segreta in corso tra Israele e Iran”, una guerra condotta via mare. Un missile israeliano ha infatti colpito una nave dell’intelligence iraniana al largo delle coste dello Yemen, ultimo episodio di una serie di fatti analoghi che si succedono ormai da anni da entrambe le parti. Non è però d’accordo con la definizione di “guerra segreta” Filippo Landi, ex corrispondente della Rai a Gerusalemme da noi intervistato: “È in realtà una tensione di dominio pubblico, dove le due parti in causa si guardano bene dall’affondare le navi rivali causando vittime, il che avrebbe conseguenze imprevedibili. Ma l’ultimo episodio, avvenuto in coincidenza con la conferenza di Vienna, dimostra la volontà del governo israeliano, in particolare del leader Netanyahu, di ostacolare un processo di riavvicinamento tra Washington e Teheran”.
Guerra dei mari segreta tra Iran e Israele, è davvero così? Esiste un parallelismo con quanto avvenuto al largo dello Yemen e la conferenza di Vienna sul nucleare?
La guerra, in realtà, non è segreta, ma di dominio pubblico, in corso su diversi mari e diverse rotte come il Golfo dell’Oman, il Mar Arabico e il Mar Rosso. Va avanti da alcuni anni e negli ultimi mesi ci sono stati ripetuti attacchi sia da parte iraniana che da parte israeliana. Il parallelismo che è stato sottolineato fra i colloqui di Vienna in corso e questo ultimo attacco davanti alle coste yemenite è senza dubbio un parallelismo politicamente fondato, ma nel contempo si inserisce lungo un confronto che dura da tempo.
Da quanto si legge, gli israeliani attaccano soprattutto navi iraniane che trasportano greggio in Siria, violando così le sanzioni internazionali, ma nessun paese europeo si è mai sognato di fare altrettanto. Israele non si sta spingendo su un versante pericoloso?
Sicuramente pericoloso per le vicende in sé, ma anche per i risvolti politici. Bisogna considerare un aspetto tecnico militare. Tutti gli attacchi negli ultimi mesi hanno prodotto danni alle navi di entrambe le parti. In particolare, quella colpita al largo delle coste yemenite era una nave spia dell’intelligence iraniana utilizzata per controllare quel tratto di mare e come tutte le altre imbarcazioni è stata colpita e danneggiata, ma non affondata.
Cosa significa questo?
Sta a significare che le parti in causa si scambiano colpi, ma stanno attente a non oltrepassare un limite che potrebbe essere molto pericoloso, quello dell’affondamento e quindi della morte del personale a bordo. Questo è ciò che è accaduto fino a oggi.
I colloqui di Vienna sembrano procedere in modo molto positivo, come hanno ricordato gli stessi iraniani. Che cosa intende per “risvolti politici”?
Il dato politico altrettanto pericoloso è che si individua il tentativo israeliano, in particolare del governo e ancor più di Netanyahu che ha appena ricevuto l’ennesimo incarico di creare il nuovo governo, di ostacolare una trattativa che si è avviata a Vienna tra i paesi a suo tempo firmatari dell’accordo, e cioè Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Russia, Iran e Usa. Colloqui al momento indiretti, il che vuol dire che l’inviato americano e quello iraniano non si sono incontrati allo stesso tavolo, ma si mandano messaggi attraverso canali diplomatici dell’Unione Europea. Questi incontri, a unanime giudizio, stanno andando meglio di quanto si potesse prevedere. Ma questa operazione militare sicuramente pone un problema politico.
Ovviamente a Biden, giusto?
Esattamente. Va sottolineato anche che l’attacco di ieri è un attacco che si è tenuto al largo di un territorio dove è in corso una durissima guerra tra i guerriglieri sostenuti dall’Iran e le forze regolari sostenute dall’Arabia Saudita. Non è difficile scorgere nell’attacco israeliano un indiretto appoggio ai sauditi. Riemerge, quindi, ancora una volta l’ostilità nei confronti dell’Iran, che con Trump aveva avuto largo respiro, ma che con Biden ne ha molto meno, al punto che non è improbabile, qualora non insorgano eventi di tipo militare o terroristico, che si riesca a condurre in porto l’accordo del 2015 su nuovi e positivi sviluppi.
(Paolo Vites)
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