Israele ha messo l’Iran con le spalle al muro. Abituato a combattere il nemico attraverso i suoi alleati (Hamas, Hezbollah, Houthi), stavolta il regime iraniano, colpito duramente a Damasco, non può esimersi da una risposta all’azione militare dell’IDF. Probabilmente, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali), sceglierà comunque una soluzione ibrida, affidandosi a qualche suo alleato, ma evitando un’azione che debba comportare per Israele una contro-risposta adeguata. L’escalation, insomma, non conviene agli iraniani. Li dissuaderebbero anche i russi, che non vogliono un Iran impegnato direttamente nella guerra a Israele perché preferiscono continuare a usufruire delle loro armi e dei loro droni, usati anche nel conflitto in Ucraina.



Che risposta darà l’Iran al blitz di Damasco che ha portato all’uccisione del generale Zahedi e di altre sei persone? Colpirà Israele?

Israele è stata abile nel porre l’Iran di fronte a una scelta difficile. Ora Teheran ha tre alternative: può incassare e non fare nulla per non essere coinvolta nell’allargamento del conflitto, ma farebbe apparire deboli sul fronte interno le Guardie della Rivoluzione; può colpire direttamente lo Stato di Israele, ma in questo modo si andrebbe verso un’escalation. Autorizzerebbe Tel Aviv, ma anche Washington, a una reazione importante. La terza opzione è una risposta ibrida, che passi attraverso i suoi proxy, Hezbollah, Houthi o milizie irachene, utilizzando modalità di azione che non evidenzino l’attribuzione diretta a Teheran. Al di là delle dichiarazioni bellicose, c’è l’azione concreta che deve essere ponderata per evitare una contro rappresaglia ancora peggiore.



Se dovessero dire a Hezbollah di bombardare, questo autorizzerebbe Israele a scatenare la guerra in Libano. Una soluzione difficile da praticare?

Hezbollah non vuole essere trascinata nel conflitto, rischierebbe di compromettere la sua struttura e la sua forza nel Paese. I proxy iraniani, d’altra parte, non sono emanazioni dirette, sono diversi dall’Iran. La priorità di Hezbollah è il potere in Libano, non perseguire gli interessi di Teheran. Se gli interessi convergono bene, altrimenti si procede a scelte diverse.

Gli Houthi hanno i missili per colpire Israele: la risposta potrebbe arrivare tramite loro?



Potrebbero farlo gli Houthi, le milizie irachene o un soggetto terzo, non necessariamente sciita, che realizza un’azione contro un simbolo o un interesse israeliano nel mondo. La risposta potrebbe non arrivare nel Medio Oriente. Potrebbero prendere di mira ambasciate, consolati, centri culturali, singole personalità.

Poniamo il caso che la scelta cada sull’opzione ibrida, cosa potrebbe succedere? Di certo Israele non si fermerà, cercherà di colpire altri obiettivi iraniani?

Israele risponderà ancora. Non sarà un botta e risposta che finisce lì, ma una spirale. Al momento non lo farà sul territorio iraniano, se avesse voluto farlo ci avrebbe pensato subito dopo il 7 ottobre. L’IDF comunque continuerà a colpire gli iraniani in Siria, e non solo lì, anche perché Netanyahu ha la necessità della conflittualità perpetua, perché questo gli garantisce di restare al potere.

L’Iran non agisce direttamente ma Hamas ha colpito Israele, Hezbollah lancia i suoi missili oltre il confine e anche gli Houthi hanno puntato in qualche occasione sul nemico. Il governo Netanyahu non è tentato di regolare i conti una volta per tutte?

Queste azioni fanno capo ai proxy di Teheran, quindi si risponde a loro, e poi si pensa ad azioni come quelle di Damasco. Se l’Iran non punta su Israele, la risposta alle azioni dei suoi alleati deve essere commisurata, anche se stavolta il raid di Damasco non è stato come gli altri: sono state uccise tre Guardie della Rivoluzione, si è colpito nelle vicinanze del consolato iraniano. È stato superato il limite concreto.

Dalla contrapposizione Iran-Israele, però, non si scappa. C’è qualcosa che potrebbe cambiare questo scenario?

Assolutamente no. Gli israeliani potrebbero anche decidere di effettuare un’azione in Iran se in risposta al blitz di Damasco venisse colpito il territorio israeliano oppure se tramite un’azione di terzi o ibrida la cui paternità fosse ascrivibile a Teheran venisse colpito un assetto importante per Israele.

In questo contesto, gli americani che ruolo giocano?

Per loro è il momento peggiore per immaginare una escalation, perché ci sono le elezioni presidenziali. Nessun presidente uscente e nessun partito che deve proporre un candidato vuole gestire una complessità del genere. Gli USA sarebbero ben lieti di dare una spallata al regime iraniano, ma bisogna vedere a quale prezzo e a quali conseguenze.

L’Iran ha strettissimi rapporti con Russia e Cina. Anche questi Paesi potrebbero dire la loro in questa situazione?

I cinesi vogliono starne fuori. Per loro si tratta di crisi provocate dall’Occidente, che l’Occidente stesso deve risolvere. La Russia cercherebbe uno scenario de-escalatorio, perché ha paura che danni all’Iran impediscano l’invio di armi e di droni che le servono. Neanche loro vogliono un coinvolgimento diretto di Teheran.

(Paolo Rossetti)

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