Ieri a Washington hanno preso il via i meeting di primavera del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, preceduti nel fine settimana dall’attacco dell’Iran nei confronti di Israele come rappresaglia per l’uccisione a inizio mese del generale Mohammad Reza Zahedi e di alcuni funzionari dell’ambasciata iraniana di Damasco in un raid israeliano. La situazione resta incerta e tesa nonostante le richieste di una de-escalation arrivate anche dalla Casa Bianca. I mercati ieri hanno ripreso fiato dopo il calo di venerdì, ma cosa si rischia a livello economico? «La cosa principale cui guardare – ci dice Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino – sono i prezzi delle materie prime energetiche. In Medio Oriente, infatti, sono concentrati importanti produttori di petrolio e anche di Gnl. Per il momento non ci sono segnali allarmanti. C’è da dire che a questi stessi Paesi conviene riuscire a continuare a vendere le loro materie prime».
Occorre guardare ai prezzi di gas e petrolio per i riflessi che possono avere sull’inflazione e, quindi, sulle decisioni delle Banche centrali sui tassi di interesse?
Ormai mi sembra che il taglio dei tassi si allontani sia per la Federal Reserve che, di conseguenza, per la Banca centrale europea, almeno per i prossimi 2-3 mesi. Dopodiché, come si usava dire, chi vivrà vedrà. Ritengo che occorra guardare ai prezzi energetici perché già oggi che sono rientrati rispetto ai massimi di circa due anni fa, la Germania fatica: un loro aumento non l’aiuterebbe a uscire dalla recessione, seppur leggera, in cui si trova. Chiaramente più problemi ci sono per l’economia tedesca, più ne risentiamo anche in Italia.
L’accordo bilaterale di solidarietà in caso di emergenza sul fronte delle forniture di gas firmato da Italia e Germania il mese scorso potrebbe mitigare questo problema?
Non so fino a che punto. Un conto, infatti, sono gli accordi politici, un altro è la loro messa a terra dal punto di vista tecnico. Mi spiego meglio: se la Germania fosse in difficoltà sulle forniture di gas, quanto e attraverso quali canali gliene potrebbe fornire l’Italia in mancanza di un gasdotto diretto tra i due Paesi?
Quanto può pesare sui timori relativi ai prezzi energetici un eventuale coinvolgimento di altri Paesi mediorientali nel confronto che si è aperto tra Israele e Iran?
Pesa molto, anche se non dobbiamo dimenticare la divisione esistente nel mondo islamico tra sciiti e sunniti. Con quest’ultimi tutto sommato Israele ha rapporti non molto tesi. È difficile, quindi, pensare che l’Iran possa trovare molte sponde nell’area, dove in fondo le prospettive mi sembrano leggermente migliori rispetto a un mese fa.
Possono pesare le alleanze che l’Iran ha fuori dal mondo arabo, cioè quelle con Russia e Cina?
Non credo. Mosca e Pechino, anche nella vicenda di Gaza, non si sono di fatto schierate. Pechino è molto interessata a che i transiti attraverso il Canale di Suez possano ritornare ai livelli di inizio anno. Mosca, invece, ha già tante cose cui pensare, anche sul fronte interno. Tra l’altro Cina e Usa, come ho spiegato settimana scorsa, stanno continuando a parlarsi. Russia e Stati Uniti forse hanno ripreso a farlo sull’Ucraina.
Certo è che gli “Spring Meetings” di Fmi e Banca Mondiale non sono iniziati bene: le prospettive e le previsioni vengono subito messe in discussione dalle tensioni geopolitiche…
Non sono mancati, purtroppo, errori di valutazione già in passato. Credo che Fmi e Banca Mondiale guardandosi in faccia possano concordare su una cosa: la loro incapacità di incidere sugli eventi. Nonostante le ingenti riserve che hanno a disposizione, non godono di particolare autonomia nel loro utilizzo e, soprattutto, non hanno alcuno strumento politico per darsi autonomamente degli obiettivi specifici: serve, di fatto, l’accordo tra i principali Paesi membri. Non credo, dunque, che una qualche iniziativa per mitigare le incertezze e le tensioni possa partire da lì.
Serve un’iniziativa del G7?
Penso più che altro che una qualche soluzione efficace possa arrivare solo dal confronto e dal dialogo tra Stati Uniti e Cina. Da quel che poco che si capisce, negli ultimi mesi siamo passati da posizioni antitetiche a una minima collaborazione. Su questo credo che incida anche la situazione economica cinese che non è così rosea come potrebbe apparire dai suoi tassi di crescita e dalla leadership indiscussa sulle terre rare.
(Lorenzo Torrisi)
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