Cinque attacchi in quattro giorni. Per Israele, le forze UNIFIL sono solo un intralcio alle operazioni di terra dirette contro Hezbollah in territorio libanese. Del resto è stato lo stesso Netanyahu a definire l’ONU una “palude antisemita”. Finora le risposte dei capi di Stato e di governo dei Paesi occidentali si sono limitate agli ammonimenti e alla convocazione degli ambasciatori; se la crisi dovesse finire all’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza, “potrebbe venir proposta una risoluzione di condanna delle condotte israeliane, ma non è certo che gli Stati Uniti la voterebbero”, è la previsione di Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo.
Secondo De Sena il governo italiano, volendo, avrebbe una strada da percorrere, che il Libano potrebbe accettare: quella di riferire la situazione all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale, com’è stato fatto già da altri governi, nel corso della guerra. Ma difficilmente lo farà.
Professore, gli attacchi israeliani ai contingenti UNIFIL continuano. Crosetto dopo gli spari ha convocato l’ambasciatore, Meloni ha parlato di “attacchi inaccettabili”, Macron ha ammonito: “non si ripetano gli attacchi di Israele a Unifil”. Sono risposte “proporzionate” alla gravità di quanto avvenuto?
Ho qualche dubbio che si tratti di risposte idonee a smuovere la linea politico-militare di Israele. Quest’ultima potrebbe essere forse mutata se una minaccia unitaria di cessare le forniture militari e altre forme di assistenza fosse concertata e fatta valere dinanzi a simili comportamenti, che rappresentano una violazione grave della risoluzione 1701/2006 del Consiglio di sicurezza.
È corretto parlare di crimine di guerra?
Sì, perché se stiamo ai dati di fatto sinora emersi l’azione israeliana ha violato l’art. 8, par. 3, dello Statuto di Roma, che qualifica come crimine di guerra – in linea con quanto è ricavabile anche da altre norme di diritto umanitario – attacchi intenzionali “contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli utilizzati nell’ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili previste dal diritto internazionale dei conflitti armati”.
L’Onu per ora ha dato una risposta ferma: la base Unifil resta dov’è, non ci muoviamo. Come commenta?
La risposta è da condividere, benché le funzioni di mantenimento della pace, proprie di UNIFIL, siano evidentemente oramai esaurite, visto l’evolversi degli avvenimenti. Ciò, sia chiaro, non perché la missione abbia fallito i suoi obiettivi, come ha erroneamente detto qualcuno. La missione infatti, proprio ai sensi della risoluzione citata, non ha mai avuto lo scopo di disarmare Hezbollah.
Si andrà in Consiglio di sicurezza ONU?
Se la situazione dovesse essere portata in Consiglio, potrebbe venir proposta una risoluzione di condanna delle condotte israeliane, ma per quanto accaduto sinora non è certo che gli Stati Uniti la voterebbero, nonostante Biden abbia preso una posizione contraria alle condotte israeliane.
Ci sono i presupposti per avviare un procedimento in Corte penale internazionale (CPI)?
Il Libano non è parte dello Statuto della Corte, ma io credo che senza dubbio consentirebbe l’esercizio delle attività di inchiesta, e, in una situazione simile, sicuramente accetterebbe la giurisdizione della Corte, ai sensi dell’art. 12, par. 3, dello Statuto, come ha già fatto la stessa Palestina nel 2015.
Non potrebbe essere l’Italia a portare il caso in CPI?
Il governo italiano potrebbe “riferire” la situazione all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale, com’è stato fatto già, da altri governi, nel corso della guerra, in relazione alle gravissime violazioni del diritto umanitario già occorse.
La sua previsione?
Beninteso, non è tenuto a farlo e, per quanto ho visto accadere sinora, non credo che lo farà. Compito dell’opposizione sarebbe quello di spingerlo in questa direzione, ma finora nulla di rilevante si è visto.
Quando lei ha commentato l’eliminazione di Nasrallah, Israele non aveva invaso il Libano, adesso sì. In che modo questo sviluppo aggrava il contesto?
Come avevo anticipato, siamo ora dinanzi a una violazione dell’integrità territoriale del Libano. Anche a voler ammettere la legittimità di azioni di risposta armata alle azioni di guerriglia condotte da Hezbollah, è difficile ritenere che tali azioni possano spingersi fino all’invasione di un territorio statale altrui, senza che ciò si configuri, per l’appunto, come una violazione della sovranità territoriale.
Il 9 ottobre Netanyahu ha rivolto ai libanesi un appello a liberarsi di Hezbollah e a riprendersi il Paese. Essi hanno “l’opportunità di salvare il Libano prima che cada nell’abisso di una lunga guerra che porterà alla distruzione e alla sofferenza come vediamo a Gaza”. Qual è secondo lei il senso di un simile invito, dopo che Israele è intervenuto militarmente e ha invaso il Paese?
Mi pare che si tratti di un chiaro invito a una sollevazione popolare armata, volta a dare inizio a una guerra civile. Se ciò preludesse a un approfondimento dell’invasione – già illecita –, saremmo di fronte a un vero e proprio attacco armato, volto a minare anche l’indipendenza politica del Libano. In assenza di un simile attacco, se dovesse comunque prodursi una guerra civile, l’eventuale prosecuzione dell’intervento militare israeliano, in appoggio a una delle fazioni contendenti, si configurerebbe comunque come un illecito, essendo vietata qualsiasi ingerenza armata di Stati terzi in simili ipotesi.
Il ministro Bezalel Smotrich ha affermato di volere “uno Stato ebraico che comprenda Giordania, Libano e parti di Egitto, Siria, Iraq e Arabia Saudita. Secondo i nostri più grandi saggi, Gerusalemme è destinata a estendersi fino a Damasco”. Non è una dichiarazione pericolosa?
Le definirei un… lucido delirio. In tali dichiarazioni si esprime una prospettiva strategica derivante da una sorta di euforia, probabilmente alimentata dai “successi” della campagna in atto, oltre che da una visione messianica di fondo. Tradotte in termini giuridici esse costituiscono un’ulteriore, ovvia riprova della totale indifferenza del governo israeliano all’autodeterminazione palestinese. In più Smotrich manifesta una tendenziale, baldanzosa indifferenza all’integrità territoriale di più Stati medio-orientali.
Finora abbiamo parlato di una crisi nella crisi. Mentre parliamo potrebbe scattarne una molto più grande, la rappresaglia di Israele contro l’Iran. Secondo lei che cosa rischiamo?
Per quanto a bassa intensità, per quanto non dichiarata, quella in corso tra Israele e Iran è una vera e propria guerra. Ciò che io pavento è una possibile saldatura tra questo fronte bellico e quello ucraino. Mi pare infatti molto difficile che Cina e Russia tollerino un eventuale annullamento delle capacità militari iraniane, visto il rilievo strategico che questo Paese – membro dei BRICS – riveste per entrambe. Sia sotto il profilo politico, sia sul piano dei traffici commerciali internazionali.
La gravità di ciò che sta succedendo non è minimamente percepita dalle opinioni pubbliche, la stessa invasione in Libano è stata “normalizzata”. Com’è possibile una cosa del genere? Dovrebbe essere chiaro che ciò che abbiamo visto a Gaza non è diverso, nel metodo, da quanto sta avvenendo in Libano e intorno a Unifil. Ma un analogo discorso lo si potrebbe fare per l’Ucraina.
Condivido la sua analisi, anche se non è facile per un giurista dare una risposta precisa al suo quesito. Concordo pure sull’analogia, che lei istituisce, con la percezione che si ha della guerra in Ucraina. Probabilmente gioca il fatto che la guerra non ha ancora lambito, direttamente, i Paesi europei, se si eccettua la vicenda UNIFIL, la quale potrebbe essere addirittura vista come un “salutare” campanello d’allarme, anche riguardo al fronte ucraino. D’altronde, non c’è più cognizione, da parte dell’opinione pubblica europea, di cosa sia davvero una guerra. Né l’eccesso di immagini in circolazione giova a una più precisa consapevolezza dei drammi che potrebbero attenderci.
(Federico Ferraù)
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