Confesso che ho un moto di malcelato sconcerto nel leggere che il primo ministro del Libano – facente funzione altresì di presidente (da quando non si è riusciti a sostituire con il consueto accordo tra le fazioni confessionali il maronita Aoun) – si è scagliato contro Israele denunciando l’azione “aggressiva” ordinata da Netanyahu. Najib Mikati è oggi primo ministro e presidente del Libano ben rappresentando l’impasse in cui la Repubblica libanese è caduta dopo lo sgretolarsi del patto confessionale di cogestione dello Stato o ciò che ne rimane.



Mikati è uno degli uomini più ricchi del Grande Medio Oriente con interessi nell’edilizia e nelle telecomunicazioni e una formazione tutta segnata dallo stretto rapporto con il potere saudita (al cui ceppo confessionale la sua famiglia appartiene), ma anche con gli Usa, che hanno segnato la sua formazione e il suo potere, accompagnato da un solido rapporto con ciò che rimane della un tempo potentissima presenza francese in Libano.



Presso la scuola di business administration francese dell’Insead, Mikati ha studiato e consolidato i suoi legami transnazionali. Non è un caso che sia stata la Francia a richiedere la convocazione urgente della seduta dell’Onu. Il potere francese si sta sgretolando (ricordate lo spettacolo drammatico di Macron che vagava in maniche di camicia per Beirut dopo la terribile esplosione del porto?).

E non è un caso che Mikati denunci l’azione armata aerea e missilistica di Israele in Libano mentre non dica una parola sul fatto che è dal Libano che s’innalzano nello spazio i missili delle truppe degli Hezbollah, che altro non sono che articolazioni del potere di estensione di potenza armata dell’Iran, che è il vero protagonista di questa guerra. Non una parola si dice sui mass media così come da parte di Mikati su questa presenza iraniana in Libano che ormai è così massiccia da bloccare addirittura il rinnovo del mandato presidenziale: la presidenza maronita è messa in discussione e solo l’accordo tra sunniti e sciiti oggi regge in Libano. E l’accordo è in funzione anti-israeliana, così come in funzione anti-israeliana è la resurrezione di Assad in ciò che rimane della Siria.



La guerra si fa sempre più intensa e l’Unfil, che ha dato meravigliosa prova di sé sino a oggi grazie ai nostri fantastici soldati, si trova in una condizione difficilissima. In fondo la partita è per la sopravvivenza di Israele come Stato – sopravvivenza che il dominio della destra fondamentalista e protesa alla pulizia etnica rende sempre più crudele e senza prospettive. Non a caso in questa tragedia parlano il potere del denaro e il potere economico proteso a posizionarsi per assicurarsi le prebende della ricostruzione futura del Grande Medio Oriente con il cuore mesopotamico. Ma per arricchirsi con la ricostruzione occorre raggiungere la pace. E la pace si può fare con i due strumenti che il Leviatano di Hobbes impugnava: il pastorale della concordia, che oggi è l’accordo diplomatico; e lo scettro dell’Imperatore, che oggi è l’uso delle armi, indispensabile per distruggere i portatori antisemiti della guerra.

Ogni giorno centinaia di missili sono lanciati contro Israele e di questo nessuno all’Onu come nei mass media fa parola. È una vergogna. Solo i Mikati non si vergognano.

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