Le operazioni militari delle Forze di difesa israeliane (IDF nell’acronimo inglese, Tsáhal in ebraico) nel Libano meridionale, iniziate dichiaratamente come “invasione limitata” nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 2024, e volte ad annientare le basi da cui le milizie sciite di Hezbollah lanciano missili sul territorio israeliano, hanno fatto entrare nel mirino anche i 10.400 caschi blu, provenienti da 50 Paesi, tra cui 1.200 italiani, dell’UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), creata il 19 marzo 1978 e, dal 28 febbraio 2022, posta sotto il comando del maggior generale spagnolo Aroldo Lázaro Sáenz, che ha sostituito il generale di divisione Stefano Del Col.
La missione, come forza di peace keeping, svolge un ruolo di interposizione e vigila sul rispetto e l’implementazione della risoluzione S/RES/1701, approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza l’11 agosto 2006, con lo scopo ridefinirne i compiti e di monitorare la cessazione delle ostilità tra Israele ed Hezbollah. L’Italia ha dato seguito alla menzionata risoluzione dopo il via libera ad ampia maggioranza delle Commissioni Esteri e Difesa del Senato, riunite in riunione congiunta con le Commissioni III e IV della Camera, con il decreto legge 28 agosto 2006, n. 253, adottato su proposta del presidente del Consiglio Romano Prodi, del ministro degli Esteri Massimo D’Alema e del ministro della Difesa Arturo Parisi, per rafforzare gli interventi di cooperazione allo sviluppo in Libano e la partecipazione italiana alla Missione UNIFIL.
In particolare, negli ultimi giorni – come ricostruito dal portavoce dell’UNIFIL Andrea Tenenti – si sono registrati cinque attacchi armati, da considerare non accidentali ma ripetuti e deliberati, che hanno provocato il ferimento di alcuni caschi blu, due indonesiani e due cingalesi, nonché il danneggiamento del quartier generale di UNIFIL nel complesso di Ras Naqoura, dove un carro israeliano Merkava ha colpito una torretta di osservazione. Sono poi state colpite le telecamere di monitoraggio perimetrale della postazione 1-31, a Labbouneh, sotto responsabilità italiana, a ridosso della “Linea blu”, che demarca il confine tra Israele e Libano, danneggiando i sistemi di comunicazione tra la base ed il quartier generale nonché la palazzina simbolo 1-32A, dove l’ONU, per anni, ha riunito Hezbollah e israeliani ricercando una mediazione tra le parti. Inoltre un drone delle IDF è stato osservato volare all’interno della postazione UNIFIL fino all’ingresso del bunker. Infine, l’11 ottobre, alcuni muri a T nella postazione 1-31 sono caduti quando un carro israeliano ha colpito il perimetro.
Non c’è dubbio che queste attività militari hanno comportato una palese e grave violazione del diritto internazionale umanitario, per la condotta inaccettabile delle IDF, non potendosi ritenere minimamente giustificabile l’azione israeliana, nonostante le richieste di Gerusalemme, puntualmente respinte da UNIFIL, di spostarsi di cinque chilometri più a nord e di tenere al riparo nei bunker il contingente. Allo stato, poi, le relazioni tra il governo israeliano e le Nazioni Unite sono ai minimi termini dopo che, il 3 ottobre scorso, il ministro degli Esteri Israel Katz ha ritenuto António Guterres, segretario generale dell’ONU, persona non gradita in Israele. E lo stesso premier Benjamin Netanyahu, parlando all’Assemblea generale il 27 settembre, ha definito l’ONU “una palude antisemita”.
L’aspetto, tuttavia, che vorrei esaminare in questa sede riguarda un profilo rimasto alquanto in ombra nei commenti e cioè la convocazione (o la ricezione, come in un secondo tempo si è precisato con evidente artificio lessicale) a Palazzo Baracchini, sede del ministro della Difesa Guido Crosetto, nel primo pomeriggio del 10 ottobre scorso, di Jonathan Peled, ambasciatore dello Stato di Israele, allo stato “designato”, in quanto non ha ancora avuto luogo la cerimonia di presentazione delle lettere credenziali al Quirinale. All’ambasciatore sono stati chiesti chiarimenti che non sono stati ottenuti, anche per l’assenza da Roma, il 10 ottobre, dell’addetto alla difesa di Israele.
Al riguardo, alcuni commentatori hanno considerato irrituale la convocazione dell’ambasciatore da parte del ministro della Difesa, rilevando che gli ambasciatori degli Stati esteri sono convocati alla Farnesina; altri hanno addirittura criticato la conferenza stampa del ministro Crosetto, perché tenuta in locali della presidenza del Consiglio.
Ora, è vero che la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961, di cui sono parti sia l’Italia che Israele, all’articolo 41, par. 2, codificando la regola dei “canali diplomatici”, attestata nel diritto consuetudinario internazionale, dispone che “tutti gli affari ufficiali (…) devono essere trattati con il Ministero degli Affari esteri”. Tuttavia, la disposizione appena menzionata anzitutto non prevede una “riserva di caccia” assoluta del ministero degli Esteri, mostrando anzi una evidente flessibilità nello stabilire che possa entrare in gioco anche un “altro ministero, se così è convenuto”.
Inoltre, pur nel silenzio della norma ma secondo una interpretazione assolutamente condivisibile della detta flessibilità, l’ambasciatore può essere convocato altresì dal presidente del Consiglio. Ciò accadde, ad esempio, il 2 ottobre 1996, quando l’ambasciatore francese a Roma Jean-Bernard Mérimée fu convocato a Palazzo Chigi e si vide manifestare dal presidente Romano Prodi l’irritazione per le ripetute dichiarazioni del presidente Jacques Chirac riguardanti, per un verso, l’incompatibilità tra le svalutazioni competitive della lira italiana ed il mercato comune europeo e, per altro verso, comportanti l’avvertimento che le suddette svalutazioni non avrebbero consentito all’Italia di far parte del gruppo di Paesi che, il 1° gennaio 1999, avrebbero adottato la moneta comune.
Infine, la prassi internazionale conosce tradizionalmente alcune eccezioni al ruolo del ministero degli Esteri ed una di esse riguarda gli addetti della difesa delle ambasciate, i quali, di regola, si rivolgono direttamente al ministero della Difesa o anche alle stesse Forze armate. Pertanto non è necessario proporre distinzioni dal sapore bizantino, prive di apprezzabile rilevanza sotto il profilo giuridico, tra convocazione formale dell’ambasciatore, che spetterebbe agli Esteri, e ricezione dell’ambasciatore da parte del ministro della Difesa o di altri ministeri.
Nella vicenda in esame è poi del tutto verosimile che la decisione di convocare d’urgenza l’ambasciatore di Israele a via XX Settembre nel pomeriggio del 10 ottobre, possa essere stata concertata direttamente dal presidente Meloni, dal ministro Tajani e dal ministro Crosetto. Le tre personalità, infatti, si erano incontrate in mattinata a Palazzo Chigi, dopo il Consiglio dei ministri, proprio per concordare le diverse azioni da intraprendere sul piano istituzionale e diplomatico nei confronti di Israele per accertare i fatti, esprimere la protesta italiana e pretendere la soddisfazione delle scuse.
Il presidente Giorgia Meloni si è anche confrontata con il Quirinale, a sua volta in contatto con la Difesa, dato che il presidente Mattarella presiede altresì il Consiglio supremo di difesa (non a caso convocato il prossimo 23 ottobre per “l’esame dei conflitti in Medio Oriente e in Ucraina, delle iniziative in ambito europeo e internazionale e dello stato delle missioni italiane nella regione mediorientale”). Il presidente Meloni ha deciso l’invio in Libano del generale Luciano Portolano, nuovo capo di stato maggiore della Difesa, che conosce bene i luoghi, avendo comandato l’UNIFIL tra il 2014 ed il 2016. Il ministro Crosetto, invece, prima di ricevere l’ambasciatore Peled, ha espresso all’omologo israeliano, Yoav Gallant, l’assoluta inaccettabilità della condotta delle IDF, paventando anche la commissione di crimini di guerra.
In effetti, l’articolo 8, par. 2, lett. b), sub iii) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 17 luglio 1998 (di cui Israele non è parte ma che codifica una regola consuetudinaria) considera crimini di guerra “gli attacchi diretti intenzionalmente contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli coinvolti nell’assistenza umanitaria o nelle missioni di mantenimento della pace in base alla Carta delle Nazioni Unite”. Il ministro Tajani, per parte sua, si è confrontato telefonicamente, a due riprese, con il presidente dello Stato di Israele Isaac Herzog e con il ministro degli Esteri Israel Katz, chiedendo le scuse di Gerusalemme, come la cortesia diplomatica impone in casi del genere. La presenza dell’ambasciatore Peled a Palazzo Baracchini, in ogni caso, ha espresso il consenso di Israele a confrontarsi con il ministro Crosetto.
Quanto, infine, alla conferenza stampa del ministro della Difesa nei locali della presidenza del Consiglio la critica è risibile, essendo pacifico al riguardo il consenso del presidente Meloni e degli uffici di Palazzo Chigi.
La situazione sul campo, tuttavia, resta complessa. Israele ha aperto una indagine e ne comunicherà i risultati la prossima settimana, come affermato dall’addetto alla difesa dell’ambasciata a Roma in un incontro con i vertici militari italiani. Al riguardo è ipotizzabile, sulla scorta dell’intervento del rappresentante permanente di Israele Danny Danon al Consiglio di sicurezza, che Israele sostenga che i militari dell’UNIFIL siano stati feriti “inavvertitamente” e “per errore” durante le azioni delle IDF, che hanno risposto al fuoco di una minaccia di Hezbollah a circa 50 metri di distanza dalle postazioni UNIFIL.
Inoltre, sempre nei prossimi giorni, i nostri ministri si riuniranno in videoconferenza con i colleghi francesi e spagnoli per coordinare future iniziative. La questione sarà anche affrontata il 14 ottobre a Lussemburgo nel Consiglio “Affari Esteri” dell’Unione Europea: il governo spagnolo ha annunciato che chiederà alla Commissione europea di rivedere l’accordo di associazione UE-Israele alla luce delle violazioni del diritto internazionale umanitario. Intanto, a Parigi, l’ambasciatore d’Israele è stato convocato al Quai d’Orsay e lo stesso ha fatto Madrid con l’incaricato d’affari israeliano. Al contempo, il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato che chiederà alla comunità internazionale di cessare l’esportazione di armi verso Israele per “violazione del diritto internazionale” dopo “l’invasione” del Libano, posizione sostenuta anche da Emmanuel Macron. Ancora, nella riunione dell’11 ottobre a Paphos (Cipro) del Vertice dei nove Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Med9), allargato per l’occasione alla presidente della Commissione europea e al Re di Giordania, i capi di governo di Italia, Francia e Spagna hanno deciso di adottare una dichiarazione congiunta, che condanna gli attacchi armati israeliani all’UNIFIL, ritenuti ingiustificabili ed esige il cessate il fuoco immediato.
Dal canto suo, il presidente statunitense Joe Biden ha dichiarato di essere pronto a chiedere ad Israele di porre fine agli attacchi all’UNIFIL. E pure il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, a margine del vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN), aperto il 9 ottobre a Vientiane (Laos), ha rilevato che un attacco contro una missione di pace delle Nazioni Unite è irresponsabile e non è accettabile, ed ha invitato Israele e tutte le parti a rispettare pienamente il diritto umanitario internazionale. Infine, sempre sul piano diplomatico, va registrato che, a Roma, tra le forze di opposizione, taluno ha ipotizzato di richiamare per consultazioni il nostro ambasciatore a Tel Aviv, misura che, tuttavia, non si giustifica affatto nella specie, anche perché la presenza dei capi missione in sede ha da sempre avuto l’effetto di rafforzare l’autorevolezza del dialogo tra le Nazioni interessate.
La parola, in ultima istanza, spetta a New York, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui ruolo, pur in forte affanno in questo come in altri quadranti, resta essenziale nella paziente ed inesauribile ricerca del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
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