L’Annuario Istat 2019 propone una fotografia del nostro Paese con cui è opportuno fare i conti; i dati sulla popolazione, in particolare, sono da “allarme rosso”, ma nessuno sembra darsene per inteso. In estrema sintesi: sempre meno bambini, famiglie sempre più ridotte, percentuale di anziani in crescita (con un aumento degli anziani fragili), saldo demografico gravemente negativo (molti più morti che nati nel 2018). Saremo sempre di meno, con una percentuale di lavoratori e di nuove generazioni sempre più piccola, con famiglie sempre più frammentate. In un Paese in cui le relazioni familiari sono da sempre il primo e più efficace fattore di protezione sociale, il dato è ancora più drammatico.



In effetti, come ricorda l’Istat, “le persone sole sono il 33,0 per cento, in costante aumento nel corso degli anni”. E non sono solo anziani, ma cresce la quota di persone tra i 30 e i 65 anni che vive – e che rimane – da sola. Curiosamente simile, sul versante opposto, il dato delle coppie con figli (la famiglia nucleare strutturalmente completa), pari al 33,2%; ed è la tipologia che è maggiormente diminuita, negli ultimi anni. “Inoltre, nel 2018 continua il calo delle nascite: i nati vivi, che nel 2017 erano 458.151, nel 2018 passano a 439.747, nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia”. E i dati dei primi otto mesi del 2019 presentano un’ulteriore diminuzione del 2%, rispetto a quelli dei primi otto mesi del 2018.



Il crollo delle nascite non si arresta, nemmeno quando sembrava di aver toccato il fondo. Fare famiglia, in Italia, si conferma quindi una “mission impossible”, soprattutto se si vuole anche fare figli. E non sorprende nemmeno più vedere come la politica su questo tema non dia alcun concreto segnale di sostegno: qualche affermazione retorica sul ruolo della famiglia, e anche qualche promessa di maggior sostegno, che però alla prova dei fatti (quando si contano le risorse dedicate nelle leggi di bilancio) si confermano poco più che simboliche: “passate l’anno prossimo, quest’anno non ci sono risorse!”. Ma davvero la politica italiana è così miope da non capire che senza politiche esplicite e strutturali su natalità e nuove generazioni non ci sarà sviluppo, né futuro? Beh, purtroppo la risposta è “sì! Anzi, la politica italiana, più che miope, è cieca rispetto all’importanza di bambini e giovani! Le famiglie si arrangino: hanno voluto un figlio? Se ne prendano carico, al Paese non interessa”. Forse è arrivato il tempo di riempire le piazze di famiglie e di passeggini vuoti, come ha profeticamente (e forse un po’ troppo timidamente) già fatto il Forum delle famiglie, più che di sardine o di altri generi animali!



Un ultimo pensiero, tra i tanti che si potrebbero sottolineare dai dati Istat, riguarda poi il matrimonio e la sua tenuta, altro luogo sociale di grande importanza per la coesione sociale e per la cura delle persone fragili. La centralità del legame di coppia pubblicamente riconosciuto come luogo di impegni e di responsabilità (questo è il matrimonio, per una società laica) è ormai sparita, totalmente privatizzata e abbandonata: nessuno si preoccupa del calo dei matrimoni, e nessuno pare interessato a sostenere le coppie in difficoltà, per prevenire le rotture di coppia: infatti, “nel 2017 i matrimoni riprendono a diminuire con 191.287 celebrazioni, quasi 12mila in meno in un anno. Le separazioni legali diminuiscono e passano da 99.611 del 2016 a 98.461 del 2017; i divorzi, dopo il recente aumento dovuto all’entrata in vigore del cosiddetto ‘divorzio breve’, subiscono una contrazione e si attestano sui 91.629 eventi (7.442 in meno rispetto al 2016)”. Siamo quasi a un passo da un perfetto “tasso di sostituzione”: la somma delle separazioni (oltre 90.000 in un anno!) e dei divorzi (oltre 90.000 in un anno!) avvenuti in un anno sta per raggiungere il numero di matrimoni celebrati nello stesso anno (poco più di 190.000).

In effetti, pur essendo dati non confrontabili (separazioni e divorzi provengono da numerosi anni precedenti, e ogni divorzio segue una separazione già avvenuta, mentre i matrimoni riguardano solo un anno), l’impatto simbolico è molto potente: di fatto, oggi, quando si forma una nuova famiglia con il matrimonio, almeno un’altra nello stesso istante rompe il proprio legame istituzionale, o ne conferma la rottura. Non si tratta solo di ripensare la normativa sul divorzio; ma davvero siamo convinti che non valga la pena di sostenere la durata e la permanenza della relazione di coppia fondata sul matrimonio? Siamo davvero convinti che una relazione “di fatto”, una convivenza, abbia lo stesso grado di impegno sociale? E di fronte alla crescente liquidità delle relazioni sociali, davvero siamo rassegnati a lasciarle andare per conto loro, senza interventi di sostegno, prevenzione e accompagnamento?

I legami di coppia e la disponibilità a diventare genitori sono tra i motori di sviluppo e di coesione sociale di un popolo: se non li metteremo al centro dell’agenda politica del nostro Paese, l’Istat non potrà fare altro che riportare costantemente i dati di una progressiva sconfitta, raccontando un Paese dove i legami sociali stanno drammaticamente evaporando.