Nelle prime settimane del 2024 sarà calendarizzata in aula al Senato la votazione della “Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale”, già approvata a dicembre dalla competente commissione (d.d.l. n. 924 presentato dal ministro dell’Istruzione e del Merito) e già mediaticamente nota come la “riforma dell’istruzione tecnica e professionale”. Questa presentazione è impropria: nelle intenzione del Governo, infatti, la legge vorrebbe essere un primo passo verso l’europeizzazione del canale formativo VET (Vocational Education and Training) che nel sistema scolastico e formativo italiano è forzosamente suddiviso in un canale nazionale (istruzione tecnica – IT – e, soprattutto, istruzione professionale – IP, entrambe di cinque anni come i licei) e in un canale regionale (istruzione e formazione professionale – IeFP – con qualifica triennale e diploma quadriennale a cui può fare seguito un percorso di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore – IFTS – solitamente annuale). Entrambi i canali possono convergere verso l’università o verso i percorsi offerti dall’Istruzione Tecnologica Superiore (ITS Academy), anch’essa recentemente riformata. L’istruzione statale permette l’accesso diretto; quella regionale deve essere integrata con un anno di istruzione aggiuntivo a cui deve seguire l’esame di Stato.



Il sistema è indubbiamente complesso e gli “addetti ai lavori” fanno sempre fatica a spiegare a coloro che non si occupano professionalmente di scuola come sia costruito l’albero dell’offerta formativa secondaria superiore in Italia. Dalla legge Moratti del 2003, a ogni modo, tutti i canali poc’anzi citati hanno uguale dignità legale e permettono di assolvere il diritto-dovere di istruzione e formazione. La riforma impostata da Valditara ha tra i suoi obiettivi anche quello di sfoltire un poco i rami e connettere in filiera i percorsi tecnici e professionali di Stato con quelli regionali e con gli ITS.



La soluzione proposta è quella di addivenire a percorsi più brevi, di quattro anni per la IP e la IT (sono già quattro per la IeFP), strutturalmente connessi con le imprese del territorio e obbligatoriamente dialoganti con almeno una Academy ITS: questa rete è definita esplicitamente “campus” dal disegno di legge. La proposta è stata da molti sintetizzata nella formula “4+2”: la durata quadriennale sarebbe in effetti la medesima dei percorsi similari offerti nella maggior parte degli Stati europei; maggiore spazio sarebbe lasciato alla flessibilità e all’autonomia dei singoli istituti e del campus; sarebbe garantito l’accesso diretto ai percorsi ITS (ecco il “+2”) anche ai diplomati della IeFP, senza esame aggiuntivo (ancora necessario, invece, per l’università).



L’iter seguito dalla approvazione della riforma è piuttosto curioso: in parallelo alla presentazione del disegno di legge in commento, il Ministero, per accelerare l’implementazione, ha emanato un decreto ministeriale e un connesso avviso che hanno concesso alle scuole italiane di sperimentare il nuovo modello già a partire dal prossimo anno scolastico 2024/2025. In sostanza: i contenuti della proposta ancora non approvata in Senato (e poi comunque da inviarsi alla Camera) sono stati anticipati e resi operativi da un atto ministeriale che ha permesso la (frettolosa) costituzione di filiere formative tecnico-professionali entro il 30 dicembre (prima, e il 12 gennaio, poi, con proroga) per sperimentare già da settembre il nuovo campus quadriennale.

A metà gennaio le famiglie potranno perciò ritrovare sul proprio territorio la proposta di percorsi tecnici e professionali quadriennali di uguale valore a quelli quinquennali offerti nelle medesime scuole. Ancora non si hanno informazioni circa il numero di istituti che hanno deciso di aderire, né di centri di formazione professionale (che hanno avuto bisogno di un atto regolamentare delle regioni ove hanno la sede). La velocizzazione dei passaggi è, da una parte, un segnale di convinzione politica e culturale del Ministero circa la validità della nuova filiera tecnico/professionale; dall’altra è un enorme rischio, perché allorquando la sperimentazione andasse male, tanto in termini di numero di scuole coinvolte, quanto sotto il profilo qualitativo visti i tempi strettissimi per costruire un’offerta formativa quadriennale che non può essere la mera condensazione del percorso quinquennale, bensì un ripensamento profondo di metodi pedagogici e contenuti didattici, i tanti detrattori della riforma avranno gioco facile a criticarne con maggiori dati e argomenti le linee essenziali.

È anche vero che il Ministero, monitorando attentamente le adesioni pervenute e assistendo le scuole nella costruzione dei campus, potrebbe raccogliere indicazioni preziose, dal “basso”, per migliorare la riforma legislativa. Questa, infatti, ha deciso di non toccare alcuni dei punti più delicati sollevati nel documento finale della Commissione sulla filiera tecnico-professionale presieduta dal prof. Bertagna (i cui esiti non sono pubblici), evitando in particolare il nodo del rapporto tra l’istruzione professionale di Stato e l’istruzione e formazione professionale di competenza regionale (ma attiva solo in pochi territori).

Certo, il discorso è assai complesso, ma è in fondo questo il motivo per cui i centri di formazione professionale regionali hanno accolto con freddezza, quando non vero e proprio astio, l’iniziativa del Ministro Valditara, interpretata da alcuni come un atto di concorrenza sleale dello Stato che, portando a quattro anni la durata dei propri percorsi professionali, supera i precedenti dodici mesi di differenza per il conseguimento del titolo, finora a vantaggio della IeFP. Questa, aderendo alla sperimentazione, supera il collo di bottiglia dell’esame di Stato per l’accesso agli ITS, ma, di contro, deve sottomettersi alla centralista “validazione dei percorsi (…) attraverso un sistema di valutazione dell’offerta formativa (…) basato sugli esiti delle rilevazioni degli apprendimenti predisposte dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – INVALSI”.

L’impressione è che questo nodo possa essere sciolto, se non addirittura reciso, soltanto tornando a immaginare un unico canale di istruzione e formazione professionale, con qualifiche e profili ben definiti (oggi non sono poche le sovrapposizioni tra i titoli statali e quelli regionali), necessariamente da attuarsi responsabilizzando le Regioni e accompagnando le tante che, per motivi ideologici come per ragioni di bilancio, non hanno mai voluto attivare percorsi professionali autonomi. È lo stesso disegno di legge presentato da Valditara a chiarire che la forza dei campus sarà da ricercarsi nella reale integrazione con i territori ove operano le scuole, gli enti formativi e le ITS Academy: per questo non possono essere che le Regioni le amministrazioni deputate a costruire e stabilizzare un vero e proprio canale VET nazionale, superando la ventennale competizione tra IP e IeFP.

Twitter @EMassagli

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