“Anche oggi abbiamo buttato 120 milioni dalla finestra” mi confessò un dirigente Alitalia nel 2004. Inizio così questo mio articolo perché in questa frase è raccolto un po’ il modus operandi di una compagnia aerea blasonatissima in questi ultimi 20 anni.

Nonostante l’allegria di molti nell’apprendere della privatizzazione di Ita dedicata in esclusiva ad un gruppo che racchiude principalmente il fondo statunitense Certares con la partecipazione sia del gruppo Air France-Klm come partner aereo che del Mef (ergo lo Stato, con una percentuale del 49%), la notizia ha portato ancor più nel marasma tutta una questione che in questi anni ha registrato una completa ignoranza sia politica che gestionale della ex compagnia di bandiera.



Dal 2008 si sono susseguite due privatizzazioni fallimentari (una italiana e una emiratina, tanto per non far mancare nulla al thrilling) e gestioni dello Stato arrivato a salvare ciò che i privati avevano distrutto, però sempre con il concetto non di far risorgere un asset importante per la nostra economia, ma di mungere una vacca in ogni suo delirante aspetto.



È passato di tutto in questi anni, tra i capitali buttati letteralmente nel cesso: e ce lo dice chiaramente un dato Aea (entità che riunisce le compagnie aeree europee) del 2006. Ogni 100 euro di guadagno, mentre per il costo del lavoro Alitalia ne spendeva solo 16 e i competitor continentali dai 21 di Lufthansa ai 30 di Iberia, per l’organizzazione dei vettori le nostre consorelle ne utilizzavano mediamente 63, mentre Alitalia addirittura 94.

Ecco spiegato il mantra che però pare che nessuno capisca, continuando a sparare a zero sulla questione spesso senza disporre di uno straccio di informazione, come d’altronde in altre faccende che riguardano non solo l’economia del nostro Paese, ma anche altri settori. Siamo imbattibili, purtroppo per mancanza di cultura, a produrre un complesso masochistico per distruggere tutto invece di ragionare su come risolvere certe problematiche.



Il prezzo che, per esempio, stiamo pagando per gli esorbitanti aumenti energetici riflette la nostra incapacità di accettare soluzioni alternative sviluppate progettualmente in questi anni e che in altri Paesi hanno attenuato questo tsunami tariffario. E ora, dopo i cieli, avremo anche la soddisfazione di cedere Tim a un altro Paese. Le comunicazioni, si sa, non sono ritenute un settore strategicamente importante, come il trasporto aereo, non è così?

La lezione che le tanto decantate (e foraggiate dallo Stato, seppur in forma indiretta) compagnie low cost ci hanno imposto non ci è bastata, a quanto pare. Siamo felicissimi, ora, di pagare ben 700 euro un volo da Alghero a Milano e quasi 300 un Roma-Bergamo a causa del monopolio a cui ormai questi vettori ci hanno portato a livello nazionale, visto come la loro lobby ci ha ridotto.

Ora vediamo come si svilupperà l’intera faccenda della “privatizzazione” di Ita (Alitalia), ma di certo, se Draghi imporrà la soluzione prima del voto, il cammino verso la salvezza dei cieli diventerà un calvario, anche perché le idee della coalizione politica che vincerà le elezioni sono diametralmente opposte alle sue e sicuramente (come sta già reclamando) metterà i bastoni tra le ruote alla risoluzione di un primo ministro che, dopo la sua rinuncia, dovrebbe solo occuparsi di ordinaria amministrazione fino al 25 settembre.

La soluzione che, ormai, riproponiamo in ogni articolo, è quella, semplicissima ma in Italia maledettamente difficile, di costruire (anzi riproporre, a questo punto) il piano targato Arrigo-Intrieri di tre anni fa. Rifondare una Alitalia basata innanzitutto sulla cultura del settore e quindi manovrata da manager esperti, non da tirapiedi politici, che possano finalmente portare, dopo un iniziale investimento già approvato a suo tempo dalla Ue, a costruire un vettore esente da pazzie finanziarie e da succulenti premi extra, elargiti a dirigenti incapaci se non a raggiungere fallimenti vari (anche recenti) e che, con un sostanzioso aumento della flotta (il piano prevedeva 300 aerei) possa finalmente competere e rappresentare un Paese che non solo è la quinta potenza turistica del mondo, ma pure una di quelle con flussi di traffico passeggeri tra i maggiori del pianeta.

La cosa curiosa è che molti, proponendo ciò, mi accusano di sovranismo, scivolando poi sull’epiteto di fascista: ma per caso hanno letto la Costituzione della “nostra” Repubblica, dove si parla di uno Stato sovrano? E Germania, Francia, Olanda e quanti altri Paesi che difendono a spada tratta le loro economie e relative aziende (di esempi ne potremmo citare a bizzeffe) come si dovrebbero definire?

Ora, tornando all’attualità del tema, è chiaro che la proposta Certares è di più ampio respiro che non quella di Msc-Lufthansa, che invece voleva Linate come hub per poi trasferire i passeggeri verso Monaco o Francoforte, e pone prospettive migliori per il traffico aereo italiano. Ma se anche lo Stato non impone scelte finalmente basate su di una sana politica industriale, mettendo non solo dirigenti capaci ma anche creando una concorrenza sui voli nazionali, allora sarà stato tutto inutile e potremo tranquillamente dire addio ai cieli, con gran dispiacere dei nostri portafogli.

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