Se qualcuno pensa che la vendita da parte dello Stato (Mef) del 55% di Ita Airways (la ex Alitalia) al Consorzio Certares sia solo una partita politica, si sbaglia di grosso. Anzi, ha ragione da vendere. Incongruenza? No, solo due facce della stessa medaglia.
Il Consorzio Certares è riuscito a interpretare due ruoli fondamentali: sia quello di puro investitore che guarda principalmente al profitto, sia di partner del Governo per la gestione anche politica della compagnia aerea dello Stato.
Il Consorzio Certares, proprio grazie all’esperienza di un ottimo ed esperto manager come Paolo Scaroni, il quale ha saputo ben consigliare il Ceo di Certares, Greg O’Hara, ha intuito, infatti, che lo Stato Italiano non avrebbe mai messo in mano a soggetti terzi una delle proprie società strategiche senza avere adeguate garanzie di poter controllare la gestione delle stesse.
D’altronde, sarebbe impensabile aprire un dossier di investimento, ad esempio sulla flotta di Ita oppure sulle nuove destinazioni da aggredire, senza avere il via libera del socio, seppur di minoranza, che ne deve condividere molteplici aspetti, soprattutto quelli economici.
La differenza sostanziale nelle due offerte, quella tra Msc-Lufthansa e Certares (quest’ultima si è aggiudicata il primo round nell’assegnazione delle quote di maggioranza di Ita), risiede proprio in questa modalità di visione della partita.
Lufthansa non è abituata a rispondere ai governi circa le strategie da adottare per far quadrare i conti all’interno della galassia aeronautica delle varie società che detiene, e questo atteggiamento, se per certi aspetti può essere una garanzia, per altri invece non viene ritenuto accettabile. Vedi, ad esempio, propio lo Stato italiano che ha interpretato il ruolo dei tedeschi come una sorta di totale estromissione da tutti i giochi della compagnia aerea.
Ma cosa pensa di fare nel breve periodo il consorzio americano? Una compagnia così piccola con così pochi aerei come Ita ha poche chanche di riuscire a produrre ricchezza e quindi il primo passo sarà sicuramente quello di aumentare la flotta ad almeno 100-120 aerei, al massimo entro il prossimo anno, e quindi ci sarà in parallelo anche un aumento delle assunzioni.
Ma dove andranno a prenderli tutti questi aerei? Certares farà sicuramente pesare il proprio know how finanziario, soprattutto con i lessor, i locatori, cercando di anticipare qualche ordine, ma anche Delta e Air France potranno essere di grande aiuto, in special modo sulla partita dei voli di medio-lungo raggio.
L’introduzione su alcune rotte di medio raggio di aerei con capacità più elevata, come gli Airbus A321 che attualmente non fanno parte della flotta di Ita, non dovrebbe essere un problema. Delta ne ha alcuni che attualmente non vengono utilizzati e quindi potrebbe sicuramente dirottarli in Italia, dove troverebbero una collocazione per il loro utilizzo. Ad esempio potrebbero essere utilizzati per coprire rotte ad alta densità di traffico come Roma-Parigi o Roma-Amsterdam, ma anche le destinazioni verso Londra o quelle verso il Nord Africa, che ben si adattano a quella tipologia di aeromobile, e sono utili per creare quel terzo polo aeroportuale in funzione dei voli intercontinentali che Ita andrà a sviluppare sull’hub di Roma Fiumicino.
Anche sul lungo raggio Air France potrebbe venire in soccorso di Ita: infatti, attualmente, possiede un portafoglio di 10 Airbus A380 inutilizzati e che potrebbero immediatamente essere introdotti sulle destinazioni del Nord America, sulle rotte della costa del Pacifico, verso il Brasile, l’Argentina, il Sud Africa e il Giappone. Quindi minori frequenze, ma più capacità. Un ritorno al passato, quando Alitalia aveva nella sua flotta i Boeing B-747.
Ma per rendere tutto ciò profittevole andranno rivisti anche i metodi di calcolo del revenue per metro quadrato, che oggi dopo il Covid sono stati completamente stravolti. Questo sistema di calcolo non è altro che la quantificazione del numero di posti a sedere e la loro tipologia (economy, business eccetera) per ogni metro quadrato di spazio utile a bordo dell’aeromobile. Questo consente ai vettori di calcolare in anticipo quanti ricavi potrebbero arrivare dai loro aerei per ogni destinazione.
Chi ha compreso velocemente quali saranno le nuove abitudini dei viaggiatori è stata Emirates, la compagnia aerea di Dubai, che qualche mese fa ha dato avvio ad un programma di aggiornamento e riconversione degli interni dei propri aeromobili.
Nel periodo pre-pandemia Emirates aveva un’offerta di posti che era suddivisa in un 12-15% di posti in business class, il 5-7% circa in first class (Suite) e il resto in economy class.
Nei piani di Emirates adesso c’è anche l’ingresso della nuova classe denominata “premium economy”, che ha modificato questi assetti. Questa cabina è già presente in alcune destinazioni della compagnia aerea emiratina a bordo dell’Airbus A380, con un’offerta di circa una novantina di posti, collocando la compagnia a essere più vicina alle richieste del mercato attuale.
Per introdurre questa configurazione Emirates ha rinunciato ad alcuni posti in business class, aumentando quindi il valore dell’offerta/revenue sui propri aeromobili. La cabina di premium economy è una sorta di business class più contenuta con una poltrona in morbida pelle reclinabile e dotata di poggiapiedi, è molto comoda e viene offerta ad un prezzo molto abbordabile (meno di mille euro andata/ritorno sulla tratta Parigi-Dubai), una tariffa veramente alla portata di tutti.
Anche Ita ha mantenuto la premium economy, ma solo sugli aerei ex Alitalia, gli Airbus A330, mentre sui nuovi Airbus A350 le classi sono solo due, la business e la economica, mentre della premium non v’è traccia alcuna.
La pandemia ha creato un vuoto di richiesta di posti in business class e un aumento di quelli in economy. Resta invariata invece la richiesta di posti in first class.
Attualmente la business class è divenuta un prodotto troppo costoso per le tasche dei viaggiatori. Chi prima poteva permettersi un viaggio in first può farlo anche oggi, mentre un viaggio in business class, dopo la crisi economica dovuta prima alla pandemia e ora anche alla guerra in Ucraina, un viaggiatore medio non se lo può più permettere a un costo così elevato, e le aziende non hanno ancora recuperato risorse a sufficienza per consentire ai propri dirigenti di viaggiare nuovamente in aereo, quindi in business class. Meglio utilizzare ancora lo smart working e le riunioni da remoto, molto meno costose e che in pratica sortiscono lo stesso risultato.
Ecco, quindi, che il segreto per poter affrontare il mercato del lungo raggio sarà quello di rivedere non solo le stime di lungo periodo, ma anche le configurazioni interne degli aeromobili.
Attualmente sulla tratta da Roma Fiumicino a New York la politica tariffaria del partner Delta Airlines è nettamente più vantaggiosa rispetto a quella della nostra compagnia di bandiera. Per un volo A/R non rimborsabile in classe economica sia con Ita che con Delta si spendono all’incirca 900 euro, bagaglio incluso. Le cose cambiano quando si sale nella scelta dei servizi. Infatti, scegliendo un biglietto di economica interamente rimborsabile, Delta fa pagare circa 1.400 euro, mentre Ita ne fa sborsare almeno 2.000.
Anche in business class le cose non vanno meglio per la nostra compagnia aerea. Il volo più economico (se così lo possiamo definire) in business class con tariffa non rimborsabile di Delta costa poco più di 3.200 euro, mentre per prendere un volo Ita con le stesse caratteristiche ce ne vogliono almeno 3.800.
Ma chi andrà ai comandi della nuova Ita dopo che ci sarà il cambio di governance? Certares sembrerebbe (ormai le veline passate ai giornalisti compiacenti si sprecano, quindi il condizionale è d’obbligo) si sia affrettata a dare un colpo sulla spalla sia ad Alfredo Altavilla, sia a Fabio Lazzerini, rispettivamente presidente esecutivo e amministratore delegato di Ita, con alcune dichiarazioni rese al Mattino di Napoli: “saranno certamente riconfermati, perché il loro piano è valido”.
Ma forse il nuovo Governo su questo punto potrebbe avere qualcosa da obiettare.
Se Maurizio Lupi (Noi con l’Italia), in caso di vittoria del centrodestra, viene dato ormai per certo al dicastero delle Infrastrutture, con molta probabilità potrà passare sopra il fatto che Lazzerini è ben sponsorizzato da Dario Franceschini (Pd), pur essendo, calcisticamente parlando, un interista (Lupi invece è uno sfegatato milanista, come il sottoscritto), non dovrebbe invece soprassedere sulla querelle che si era innescata in commissione Trasporti a febbraio di quest’anno, quando sono volati gli stracci. In quella sede il presidente di Ita, Alfredo Altavilla, venne tacciato da Lupi di poco rispetto verso le istituzioni, a seguito dello show in lingua inglese che fece irritare non poco più di qualche membro della commissione.
Della stessa opinione è anche Fabio Rampelli, che sta inseguendo da mesi Lazzerini e Altavilla con la schiuma alla bocca, come un lupo mannaro affamato di sangue, e che non starà certamente a guardare qualora ci dovesse essere da parte del Fondo Certares una riconferma dei due manager.
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