Come avevamo già descritto in un precedente articolo, il vuoto lasciato da Alitalia nel passaggio di testimone a ITA nella partita delle destinazioni domestiche ed europee ha di fatto consacrato le low cost a essere delle vere e proprie prime donne del settore del trasporto aereo in Europa, in special modo in Italia che è il Paese che attualmente (purtroppo) vanta la percentuale più alta di presenza di compagnie aeree straniere su rotte europee e domestiche.
Questo effetto domino ha innescato una forte spinta sia per RyanAir che per WIZZair (meno EasyJet e Volotea) tale da consentire a questi due colossi dei voli low cost di penetrare il nostro mercato passeggeri senza incontrare grandi difficoltà. La penetrazione della quota di mercato sarebbe stata ancor maggiore se il costo del carburante non avesse subito in questi ultimi due anni una forte impennata del prezzo a barile.
Se prima della pandemia il costo del greggio valeva circa 49 dollari al barile oggi è schizzato a ben 142 dollari al barile con un notevole impatto sui conti economici di tutte le compagnie aeree mondiali. Per fare un esempio concreto, se un volo da Torino a Roma costava alla compagnia tra i 5.500 e i 7.000 euro per ora volata, oggi lo stesso volo costa almeno 2.000 euro in più (costo calcolato su un Airbus A320-200 o Boeing B737-400, con un minimo di 2.500 ore volate annue).
Le conseguenze di tale aumento hanno principalmente impattato sui costi operativi di tutte le compagnie aeree che poi a loro volta si sono organizzate e hanno applicato la cosiddetta fuel surcharge in aggiunta al costo del biglietto da riversare al passeggero.
Si tratta di una tassa neanche più di tanto occulta che serve per mitigare l’impatto dell’aumento del costo del carburante sui conti dell’azienda. Varia da compagnia a compagnia sia in termini di entità che di definizione: si va dai 60 euro che applica Lufthansa con la dicitura tassa aviazione civile senza specificare di cosa si tratta, all’euro a passeggero che viene applicata da Air France per l’utilizzo di carburante eco-sostenibile. Sono 19 le sterline applicate da British Airways (17+2) sui propri voli, mentre Iberia sotto la dicitura oneri di partenza applica circa 15 euro a passeggero per tratta.
E le low cost? Sembrerebbe abbiano creato una sorta di cartello per poter aumentare i prezzi dei loro posti a sedere. Ma come? Qualche settimana fa sarei dovuto partire per andare Wakefield, un paesino vicino a Leeds nel centro-nord dell’Inghilterra. Gli aeroporti più vicini a Wakefield sono quelli di Manchester, Liverpool, East Midlands e Leeds Bredford. Questi quattro aeroporti inglesi sono tutti collegati con il Nord-Est d’Italia esclusivamente da vettori low cost e che operano dal polo aeroportuale di Verona, Treviso e Venezia.
Le compagnie che effettuano i voli verso questi aeroporti sono WIZZAir, EasyJet, Jet2.com e RyanAir. In nessuna delle combinazioni di viaggio tentate, anche partendo con una compagnia e rientrando con un’altra e viceversa, è stato possibile ottenere un biglietto con una tariffa minore di 380 euro andata/ritorno e bagaglio incluso. A volte l’importo del biglietto, su alcune combinazioni di viaggio, superava di gran lunga i 500/600 euro a passeggero, più o meno in linea con le tariffe di altre compagnie aeree tradizionali come, ad esempio, British Airways. Una coincidenza? E chi può dirlo…
Tutte le compagnie aeree low cost nei loro siti internet di prenotazione informano di non applicare la fuel surcharge all’interno del costo del biglietto, e sarà anche vero, ma intanto hanno pensato ad aumentare il costo dei biglietti tenendo invariata la qualità del servizio. Ecco quindi che non solo le compagnie aeree low cost si stanno portando a casa i proventi delle azioni di co-marketing che la stragrande maggioranza degli aeroporti mette loro a disposizione, ma avendo alzato di molto il costo dei ticket sono diventate di fatto le prime compagnie aeree high fare nel settore delle low cost carrier.
In questa situazione è difficile per una flag carrier competere con gli stessi prezzi delle low cost, anche se rincarati, perché i costi non solo sono aumentati a dismisura, ma la gestione di una compagnia aerea tradizionale è caratterizzata da un costo che varia mediamente dal 30% al 35% in più rispetto alle citate compagnie aeree low cost.
Le uniche compagnie aeree che oggi potrebbero essere in grado in qualche modo di contrastare il predomino delle low cost sono Air France-Klm e Lufthansa. Infatti, le due compagnie di bandiera rispettivamente di Francia/Olanda e Germania, avendo una copertura dei voli capillare nei rispettivi Paesi di appartenenza, riescono a contrastare in parte la concorrenza con la qualità del servizio e oggi, dopo che low cost hanno aumentato i prezzi, proprio il servizio potrebbe fare la differenza e diventare un significativo vantaggio per le due flag carrier a fronte della giungla dei prezzi attuata dalla maggior parte delle low cost.
Tutto il contrario di ITA Airways, che invece in Italia non riesce ancora a presidiare il mercato domestico in modo capillare.
Ma cosa accadrà a ITA nel prossimo futuro? Per sopravvivere ha solo due possibilità. La prima è trovare immediatamente un socio forte che le consenta, attraverso un sistema di network, di coprire la maggior parte delle destinazioni europee concentrando il grosso della flotta sul mercato domestico per offrire prosecuzioni sulle rotte intercontinentali. In questo caso ITA sarebbe demandata a una sorta di piccola compagnia di feederaggio. Consegnare ITA ai francesi o ai tedeschi significherebbe tuttavia consegnare il nostro sistema dei trasporti e soprattutto del turismo in mani straniere: un vantaggio che nessun Paese straniero si farebbe sfuggire di mano.
La seconda possibilità è quella di restare una compagnia indipendente di proprietà dello Stato e di potenziare immediatamente la flotta portandola nel giro di 18 mesi ad almeno 200 aeromobili (30/35 sul lungo raggio, il resto su destinazioni europee e domestiche), creando quindi le condizioni per arginare l’attuale predominio delle varie low cost.
Questa operazione consentirebbe di dare una risposta concreta non solo al turismo e all’economia del nostro Paese, ma anche al difficile mercato del lavoro di questo settore colpito fortemente dalle chiusure di Ernest, Air Italy, Blue Panorama ed Ego Airways. Soprattutto si aiuterebbero gli ex dipendenti di Alitalia, la maggior parte over 45, visto che il personale transitato nella nuova compagnia di bandiera ITA Airways è stato sostanzialmente dimezzato. L’esperienza maturata da questi professionisti non solo consentirebbe di addestrare quelli più giovani, evitando episodi come quelli accaduti per ben due volte sulla tratta Roma-NewYork, ma anche di far risparmiare alle casse dello Stato parecchi quattrini che potrebbero essere re-investiti o nello stesso settore o verso altri progetti per il futuro.
Tutto ciò però da solo non basta, perché per poter consolidare il proprio patrimonio aeronautico sarà necessario non solo proferire risorse economiche importanti per gli investimenti, ma implementare la flotta costantemente del 5% annuo per poter arrivare alla fine del 2028 ad avere almeno 270 aeromobili, di cui 45/50 di nuova generazione da utilizzare sulle rotte di lungo raggio e i rimanenti sulle destinazioni di corto e medio raggio.
Dal 2028 poi i ragionamenti dovranno essere di altro tipo, ma vanno impostati fin da subito. Come già ampiamente discusso nel mio articolo di qualche giorno fa, il settore dei trasporti subirà nei prossimi 10 anni una forte e radicale trasformazione.
Quindi, i piani di sviluppo che ITA ha elaborato in questi mesi tendenzialmente potrebbero essere del tutto inconcludenti se si ragiona su un arco temporale molto più lungo dei 5 anni. La mancanza di una visione o di un obiettivo a lungo termine è la conferma che l’attuale gestione di ITA ha ormai completato il proprio mandato che, in sostanza, era quello di creare una compagnia aerea sulle ceneri di Alitalia per consegnare il nostro trasporto aereo o ai francesi o ai tedeschi se non addirittura agli americani.
Le dimissioni o la sostituzione del management di ITA dovrebbero comprensibilmente arrivare in concomitanza con l’insediamento del nuovo Governo che si desume potrebbe avere visioni e idee molto diverse da quelle dell’esecutivo attuale. Infatti, se quest’ultimo non dovesse dare avvio alla privatizzazione di ITA – contrariamente a quanto annunciato dal Presidente Draghi, che sembrerebbe aver deciso di portare il tema sul tavolo del prossimo Cdm – il nuovo Governo prima di ri-avviare un processo di privatizzazione potrebbe cercare una soluzione interna, sicuramente più strategica e che consentirebbe al nostro Paese di riprendersi le quote di mercato lasciate per strada e di avviare una politica dei trasporti in senso stretto che abbia un senso logico in un’ottica temporale che abbracci i prossimi 15/20 anni.
Ecco che allora tutti gli investimenti che verranno profusi nella compagnia di bandiera avranno un senso e finalmente cesseranno di esistere tutti quei finanziamenti a pioggia destinati solo a coprire i buchi di bilancio che hanno caratterizzato praticamente tutte le precedenti gestioni di Alitalia.
E quindi che fare del marchio Alitalia? Deve tornare a volare. Questo almeno è il pensiero di molti che non vedono in ITA la loro compagnia di bandiera, e non solo per com’è nata ma anche per come viene gestita quasi come se fosse una sorta di azienda a carattere padronale e un contenitore di passaggio destinato a entrare in altre orbite.
Io condivido pienamente il fatto che Alitalia debba tornare a volare con il suo marchio storico, ma tutto ciò andrebbe costruito attorno a un progetto nuovo con una visione imprenditoriale vera e che vedrebbe ITA non più come la compagnia aerea dello Stato, ma come una sorta di holding dei trasporti (la vecchia IRI) con una divisione netta tra settore di lungo raggio ad appannaggio per l’appunto di Alitalia e un settore del corto e medio raggio (una sorta di nuova ATI dei giorni nostri), ma con un approccio verso la clientela con concetti decisamente più focalizzati sulla soddisfazione del passeggero e meno alle performance orarie.
Questo non solo servirebbe a gestire i bilanci in modo corretto, ma consentirebbe anche di presidiare i territori in modo capillare e creando alle low cost qualche problemino in seno alla concorrenza.
Ecco che in quest’ottica di ridefinizione delle strategie anche l’Italia ri-avrebbe finalmente indietro sia la amata mamma Alitalia, ma allo stesso tempo anche la sua prima vera low cost (ATI) di cui gli italiani, ma anche gli stranieri, saprebbero certamente apprezzare l’impronta e non tanto per i nomi utilizzati, ma quanto per il tipo di concetto e di servizio che si andrebbe a introdurre, il tutto made in Italy e focalizzato su valori importanti come la famiglia, la cortesia, l’accoglienza e la qualità del prodotto di bordo che entrambe le compagnie aeree saprebbero esprimere senza fronzoli e con molta semplicità, rappresentando al meglio e in tutto il mondo la nostra italianità.
Insomma, per il nuovo Governo potrebbe essere un biglietto da visita davvero niente male…
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